
La ballerina e insegnante di danza Elisa Calabretta che ha vinto l'anoressia
Monza, 31 agosto 2019 - Principesse, star di Hollywood, ma anche normalissime donne e ragazze: tutte accomunate dal dramma dell’anoressia. Un male che non conosce età e classe sociale e che piano piano ti trascina in un baratro dove, anche se ormai ridotte a pelle e ossa, le vittime continuano a vedersi grasse. Un percorso lungo e difficile quello che aspetta le pazienti (oggi in aumento anche i maschi) e le famiglie che da sole non riescono ad aiutare concretamente chi pian piano si sta facendo morire di fame.
«É difficile numeri nazionali e locali sull’anoressia – spiega Massimo Clerici, professore di Psichiatria all’Università Milano Bicocca, grande esperto della materia e autore di numerose pubblicazioni sul tema dei disturbi del comportamento alimentare –. I numeri del nostro territorio fanno emergere la gravità della patologia: nell’ultimo triennio sono oltre 300 i pazienti che in media si sono rivolti agli ambulatori dei disturbi del comportamento alimentare presenti sul territorio (tra cui c’è anche quello dell’Asst di Monza, ndr). Al quale sono seguite oltre 1.200 visite di controllo».
Pazienti che poi, a seconda della gravità della patologia hanno intrapreso percorsi terapici differenti. «Solo una piccola parte dei pazienti, in media un quinto – prosegue Clerici – ha richiesto l’inserimento in un centro diurno specializzato». Una malattia che compare in età sempre più precoce. «Inizia comunemente durante l’adolescenza e raramente prima della pubertà – precisa – L’esordio molto precoce è in genere associato ad un evento stressante come gravi difficoltà familiari o “lasciare la propria casa” per motivi di studio. Gli individui più giovani, invece, mostrano spesso quadri clinici atipici rispetto ai quadri più consueti».
La famiglia quando si trova di fronte al problema spesso non sa come muoversi e a chi rivolgersi, chiedendosi come mai non sia riuscita ad accorgersene prima. «Premetto che è sempre meglio che i sintomi vengano diagnosticati dagli specialisti (medico di famiglia, pediatra, professionisti qualificati dei circuiti ospedalieri e sanitari in genere), è necessario conoscere i criteri diagnostici internazionali – spiega –. Restrizione nell’assunzione di calorie in relazione alle necessità che porta ad un peso corporeo significativamente basso nel contesto di età, sesso, sviluppo; intensa paura di aumentare peso o di diventare grassi; alterazione del modo in cui viene vissuto dall’individuo il peso o la forma del proprio corpo, eccessiva influenza del peso o della forma del corpo sui livelli di autostima oppure mancanza di riconoscimento della gravità dell’attuale condizione».
Criteri che permettono così di effettuare una corretta diagnosi. «Distinguendo le varie forme di anoressia – prosegue –. Quella con restrizioni (fino al digiuno) o con abbuffate e poi condotte di eliminazione (vomito, uso di lassativi, diuretici ed enteroclismi). La famiglia non deve mai fare l’errore di considerare poco importanti fattori quali la preoccupazione nel mangiare in pubblico, ridotta spontaneità per quanto riguarda l’alimentazione o valutare la perdita di peso come una conquista e un segno di autodisciplina e di “carattere forte”, ma riconoscerlo come un problema medico da segnalare ai professionisti».
L’anoressia viene spesso abbinata a un patologia “causata” dalla società e dagli stereotipi che ci vogliono tutti magri. «I modelli stereotipati che riguardano l’immagine nel sesso femminile hanno ancora un ruolo nell’ambito della dimensione narcisistica tipica della società attuale – prosegue –. Devono però essere inquadrati tra i fattori di rischio individuali e collettivi quelli ambientali (culture e ambienti in cui la magrezza è considerata un valore); quelli genetici e fisiologici (maggior rischio tra i soggetti che hanno parenti biologici di primo grado con lo stesso disturbo o anche disturbi depressivi). Molte altre evidenze sulle cause sono in corso di verifica, come per esempio anomalie cerebrali oggetto di studi di neuroimaging».
Ma dall’anoressia si guarisce completamente? «Il decorso e la remissione dell’anoressia sono estremamente variabili – conclude –. Individui con esordio tardivo hanno maggiori probabilità di vedere una durata più lunga della malattia. É una malattia complessa con rischio di morte nei casi più gravi; durante il decorso però non è raro anche un cross-over dei sottotipi con cambiamento dei comportamenti alimentari patologici Spesso gli individui con anoressia mancano di consapevolezza o negano il problema: pertanto bisogna mantenere un’attenzione “alta” nel corso degli anni anche dopo un esito favorevole delle terapie. Alcuni pazienti guariscono completamente dopo un singolo episodio, altri vanno incontro ad un decorso cronico negli anni. La maggior parte va incontro alla remissione entro 5 anni dall’esordio. Il tasso di mortalità è di circa il 5% per decennio di vita».