
Aperte sotto il Fascismo erano rivolte alle famiglie meno abbienti per consentire una vita all’aria aperta e sotto i raggi benefici del sole.
Per oltre un secolo, anche di più (la prima venne aperta nel 1856 a Viareggio) hanno rappresentato un’alternativa per tutti quei bambini che d’estate dimostravano di avere bisogno della cosiddetta “cura del sole“, in un’epoca in cui le vacanze non erano alla portata di tutti e trascorrere qualche giorno seguito e accudito poteva rappresentare uno sfogo per i genitori impegnati nelle fabbriche del territorio. In questa storia andiamo però a mezzo secolo fa, all’anno 1976, quando il fenomeno si sta andando a esaurire. Al Parco di Monza sono ancora attive, anche se in maniera sempre più sporadica, quelle che venivano chiamate “colonie elioterapiche“. Un’antica tradizione le cui origini affondano nel tempo e che in epoca fascista soprattutto aveva avuto particolare sviluppo offrendo la possibilità, soprattutto ai figli delle famiglie meno abbienti, di sottoporsi alla cura di patologie come il rachitismo infantile e, più in generale, all’irrobustimento dei bambini e dei ragazzi delle classi più povere con l’obiettivo un po’ velleitario di rimpolpare le fila dell’esercito in tempo di guerra. I benefici dati dall’elioterapia alla cura di alcune malattie e, più in generale, al miglioramento della salute erano in realtà conosciuti anche da prima, sin dal Settecento, fino a quando in Italia, con l’avvento del fascismo appunto, iniziarono ad essere costruiti capillarmente dallo Stato dei centri specifici.
Era accaduto anche al Parco di Monza, dove ad esempio nel 1923 il Demanio aveva subaffittato la villa Mirabellino per cinquemila lire al Comune per realizzarvi una colonia elioterapica, mentre il suo salone delle cacce era stato trasformato in refettorio, la sala accanto era diventata una classe di canto e nell’antica loggia era stato ricavato l’ufficio della direzione.
A guerra finita, però, le colonie elioterapiche erano cadute piano piano in disuso, e così era stato anche per quella del Mirabellino. Ma qualcosa resisteva ancora. Come alla Cacina Frutteto, ad esempio. Dove avvenne un fatto curioso e inedito. Le abitudini mezzo secolo fa, anche alimentari, erano molto diverse quelle odierne, le esigenze pure. Le cose andavano in un’altra maniera insomma quando all’improvviso a Monza, in una sonnolenta estate in cui le ferie estive sono ancora concentrate al mese di agosto ma i genitori con la chiusura delle scuole avevano il problema di dove “parcheggiare” i figli mentre le fabbriche sono ancora aperte, esplode una polemica mai “assaggiata” prima. Perché, si sa, i genitori (le mamme soprattutto) sono sempre attenti a cosa mangiano i propri figli e accade così anche alla vecchia colonia elioterapica di Monza dove esplode una polemica quasi surreale per l’epoca. Il guaio si concretizza quando ai piccoli ospiti della cascina elioterapica vengono serviti dei pasti all’epoca considerati del tutto inimmaginabili: sulla tavola dei bambini compaiono spaghetti, tagliolini, maltagliati… Il problema però non è il menu, ma il fatto che gli alimenti serviti non sono freschi, preparati sul momento.
Le mamme strabuzzano gli occhi quando scoprono, attraverso il racconto dei figli, forse poco soddisfatti o forse semplicemente incuriositi, che il cibo in questione è precotto. In scatola. La polemica rimbalza subito sui giornali e in Consiglio comunale, qualcuno addirittura invoca l’invio di ispettori ministeriali. Anche se i responsabili della Cascina San Frutteto replicano che il cibo servito ai piccoli a loro affidati "rispetta appieno le necessità dietetiche dei ragazzi". Un concetto, quello delle necessità dietetiche, ancora estraneo alle discussioni delle famiglie dell’epoca probabilmente, e che non convince né commuove più di tanto le mamme. Con queste ultime che replicano che forse – ammesso e non concesso – le tabelle dietetiche con cui ancora all’epoca non c’era ancora dimestichezza potrebbero essere rispettate, ma sarebbe meglio se nei piatti dei loro figli fossero serviti cibi freschi e cotti all’istante. Altro che menu vegetariani o rispettosi di tutti i convincimenti e i credi religiosi come oggi. Le mamme di cinquant’anni fa pretendono che il cibo servito ai loro figli sia fresco, genuino e cotto al momento. E non accettano la scelta di ricorrere al cibo in scatola servito a loro detta (e probabilmente con qualche ragione) per mere quetioni di risparmio economico. Inaccettabile in un momento in cui genitori, per mandare i propri figli in colonia, si sono ritrovati fra l’altro con una retta addirittura raddoppiata, passata dalle 20mila alle 50mila lire. Tanto più che la soluzione della colonia era ancora destinata soprattutto alle classi meno abbienti, non certo a quelle altolocate.
Non sappiamo come sia andata a finire quella polemica, sappiamo solo che oggi servire cibi precotti in scatola continua a non essere particolarmente gradito delle famiglie che devono avvalersi delle mense scolastiche, con commissioni mensa nelle scuole di ogni ordine e grado pronte a inferocirsi e a protestare. Figurarsi mezzo secolo fa... L’unica cosa certa è che erano gli ultimi tempi di un’esperienza – quella delle colonie elioterapiche –destinata a chiudersi di lì a breve.