Van De Sfroos e Zucchero: "Il nostro gospel in laghée-emiliano"

Il menestrello del Lario sabato sul palco del Carroponte e il 17 settembre con il nuovo album "Maader Folk"

Davide Van De Sfroos

Davide Van De Sfroos

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Milano - Il disco dell’approdo. Per Davide Van De Sfroos il nuovo album "Maader Folk", sul mercato dal 17 settembre, costituisce quel porto sicuro tanto agognato dopo "anni di navigazione tra i flutti di un mare in tempesta". Nell’attesa di salire sabato prossimo sul palco del Carroponte con i suoi De Sfroos, il cantautore laghée torna intanto domani in radio col singolo "Oh Lord, vaarda gio", Oh Dio, guarda giù, scritto e inciso assieme a Zucchero, con cui aveva già collaborato tra i solchi di "D.O.C." all’autobiografica "Testa o croce". Davide, com’è nata "Oh Lord, vaarda gio"? "È un pezzo che si è scelto, rimasto nel cassetto per tanto tempo e poi recuperato nel Natale 2019, quando un amico arrangiatore mi ha chiesto una canzone su cui lavorare. Finite le registrazioni di ‘Maader Folk’ è rispuntato fuori, sorprendendo tutti per la potenza e l’aderenza ai tempi. Sembrava scritto proprio durante il lockdown e sarebbe stato uno sbaglio escluderla". Perché Zucchero? "Perché siamo due musicisti a cui piace scambiare energie. Gli ho mandato il pezzo mentre stava lavorando a ‘September’, il duetto con Sting, e quando l’ha sentito s’è entusiasmato chiedendo subito di partecipare perché lo trova molto nelle sue corde. È venuta una cosa straordinaria perché, oltre a cantare, Zucchero ha tradotto alcune strofe del testo in emiliano, trasformando il tutto in un gospel ruspante a due voci: l’urlo dell’uomo smarrito che chiede al Signore su quale strada camminare". Quali sono le canzoni di Fornaciari che trova più affini a questa "Oh Lord, vaarda gio"? "Sicuramente quelle più interiori; cose come ‘Hey man’, ‘Diamante’, ‘Il suono della domenica’, ‘Madre dolcissima’". - Sulla copertina di "Maader Folk" la sua "Madre dolcissima" è una Madonna multietnica. "Sì, la personificazione del folk con sembianze muliebri. La copertina mi è arrivata in sogno. Ero a letto con il Covid quando m’è apparsa questa compassionevole figura femminile, madre ideale del folk, del suono primordiale che tutti in un modo o nell’altro ci portiamo dentro. Così mi sono svegliato, ho messo una canzone di un folker doc quale Phil Ochs e ho chiamato il mio manager dicendo: credo proprio di aver trovato il titolo del disco". Questo album è il punto d’arrivo di un processo rigenerativo durato quattro anni. "Effettivamente ho navigato in acque di tutti i tipi, ma sono rimasto attaccato al timone cercando di andare avanti anche ricostituendo un gruppo che non si vedeva più da un quarto di secolo; passo coraggioso, importante, che poi in questo mio nuovo disco solista mi ha riportato lì da dove ero partito, al folk e a certi sapori celtici degli esordi, pur senza rinunciare ad inseguire suoni nuovi grazie anche alla collaborazione col produttore Taketo Gohara".

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