
Zaltan Ibrahimovic, nella stagione 2011/12
Milano, 6 giugno 2015 - «Ognuno di noi è libero di sognare, anche io sogno, a volte i miei sogni si trasformano in realtà, altre volte no». Nessuno ha mai presentato Mister Bee a Mino Raiola, agente non segreto di Zlatan Ibrahimovic e di molti altre riverite fette? Perché un conto è avere sogni e un conto è avere soldi da spendere. Al non addetto ai lavori (chi vi scrive) la gentile offerta di denaro fresco per il mercato del Milan pare un atto di filantropia, come se i soldi li avesse depositati l’arcangelo Gabriele in persona e penne, ma è chiaro che adesso cambia tutto. Anche per Raiola e per Ibra: con una dote-mercato di 100 milioni di euro (e c’è chi dice addirittura 150) Mino si ricrederà e il nomade Zlatan pure: il suo ritorno al Milan da Tartufone riscaldato, su quale già si scommette a quote popolari, sarà il castone di un mercato a testa alta, dopo i contorsionismi a parametro zero e le mezze tacche spacciate per irediddio.
Ibhrahimovic come chioccia straniera di un Milan giovane, forte e italiano: questo è il disegno. Ma quando si hanno i dané, sull’italianità si può anche derogare. Qualche maligno suggerisce: si può perfino derogare su Mihajlovic – non ancora ufficializzato, del resto – e puntare a un gluteo top. Ma ieri Silvio Berlusconi gorgheggiava: «Mihajlovic, ottima impressione, persona di livello. E non solo competente di calcio, ma anche di grande polso. Ibra? Abbiamo parlato di tante cose..». Comunque in questa improvvisa euforia mercantile, il Milan può davvero fare una spesona tipo Mandzukic, Kolarov, Soriano, Obiang, Mario Suarez, Eder, Bertolacci (occhio a questo estroso genoano). Detti così a caso fa ancora più abbondanza e ci si può anche ballare sul tavolo, come Totò con gli spaghetti. Resta da dire ancora qualcosa di Ibra. Il Milan ci prova da tempi non sospetti: dando quasi per scontato il suo riapprodo al Diavolo, a Zlatan non resterà che sfatare – una bazzecola – la maledizione rossonera delle minestre riscaldate, che ha perniciosi e illustri esempi. Andando a ritroso nel tempo, tutti ricordano il pallido nostos di un Kakà per il quale s’erano innescate spropositate speranze di gloria. Ancora più pallido fu il ritorno di Andrij Shevchenko, ridotto a ombra labile e dissolvente. E che dire del gran visir di tutte le minestre milaniste riscaldate? Fabio Capello, una stagione da buttare nel lontano campionato 1997/1998. Se Ibra sarà il manico del nuovo Milan, be’, si guardi almeno da qualche ingombrante fantasma. E non solo lui.