Jessica Muller Castagliuolo
Economia

Simone Giorgi, il miglior manager d'hotel al mondo è al Park Hyatt di Milano: “Champagne per i cani, musica per le rockstar. Prima regola: custodire i segreti”

Premiato dal network Virtuoso, racconta il suo lavoro: “Ho improntato tutto sulle relazioni e sulle persone, penso che prima di tutto bisogna creare un ambiente vincente”

Simone Giorgi, general manager Park Hyatt di Milano

Simone Giorgi, general manager Park Hyatt di Milano

Milano, 21 agosto 2024 – Nella Milano d’agosto, con le strade sgombre e l’afa soffocante, il Park Hyatt brulica di vita “esclusiva”. Nella hall del cinque stelle lusso a pochi passi dalla Galleria non ci si annoia. Il telefono del general manager Simone Giorgi, premiato come migliore al mondo dal network Virtuoso, non smette di squillare. «Mi scusi, ho richieste da due camere importanti». Si interrompe. Poi spiega: «È una parte del mio lavoro della quale vado fiero. Gli ospiti si affidano, mi chiedono consigli, non so, su un ristorante a Zurigo o su un hotel alle Maldive».

Avrà avuto richieste anche più “particolari” di queste. «(Ride) Ne ricevo di tutti i colori. Gliene racconto un paio: avevamo una coppia con due cagnolini, Tik e Tok, che avevano chiesto tisane ricercate e due bottiglie fresche di Dom Pérignon. Fin qui, tutto bene. Poi abbiamo scoperto che erano per i cagnolini! Ricordo ancora il leader di una famosa band che ha chiesto un “sottofondo musicale“ con i rumori di una metropoli, i clacson e quant’altro, perché non riusciva a dormire per il troppo silenzio”.

Insomma, ha molti segreti. «Sì, è parte del mestiere. Mi porto segreti da anni. Ma qui parafrasiamo un po’ il motto “what happens in Vegas, stays in Vegas”. Niente fughe di notizie».

Possiamo annoverare la discrezione tra i fattori del suo successo. Ma come ci si sente ad essere il general manager di hotel migliore del mondo e cosa, secondo lei, ha contributo di più a questo riconoscimento?

«Ho improntato tutto sulle relazioni e sulle persone, penso che prima di tutto bisogna creare un ambiente vincente a partire dai collaboratori che hai accanto. È come la ricetta di un piatto: non c’è solo un ingrediente, ma tanti che vanno bilanciati».

Le esigenze sono cambiate?

«Un tempo si prenotava tutto con molto anticipo, oggi invece, in particolar modo dopo la pandemia, è tutto più veloce e last minute. L’ospite poi (perché non vanno chiamati mai clienti) è molto più esigente e attento anche alla sostenibilità».

Nel suo curriculum, tra le tante, anche Capri e Firenze, con il J.K. Place e Villa Cora. Milano gode di fama analoga nel mondo del lusso?

«Dopo l’Expo si è lavorato tanto e bene per fare di Milano un brand riconosciuto. Oggi Milano ha superato di gran lunga città come Londra e Parigi. È un “place to be”, una destinazione nella quale andare».

Ha parlato di relazioni, non avete difficoltà a trovare personale?

«È vero che si fa più fatica, ma non dove c’è una cultura sana del lavoro. Non voglio dire che siamo un’isola felice, ma abbiamo riscontrato meno difficoltà. Siamo 260 persone e c’è un ambiente molto rispettoso. Se penso ai miei collaboratori, mi stanno particolarmente a cuore le nuove generazioni. C’è un tempo per prendere e uno per dare, il mio obiettivo ora è cercare di innestare ottimismo e fiducia nel lavoro ai più giovani».

E qual è l’insegnamento più importante che sente di voler trasmettere?

«Darsi il tempo per sbagliare, che significa crescere più forti»