Rider, guerra fra poveri nel Far West: fake Gps e app per truccare i turni

Business milionario per i pirati del web. Esposto all’Ispettorato del Lavoro: tagliato fuori chi rispetta le regole

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Per falsificare il Gps del telefono, con l’obiettivo di allungare i percorsi per le consegne e quindi ottenere un rimborso maggiore rispetto al dovuto, basta scaricare e installare una app, Fake Gps o simili. Altre applicazioni, come Reglov, Glovobot, LaFenice, Sushi Clicker o GlovIp, consentono ai rider “furbetti“ di aggirare l’app originale di Glovo tramite un programma che, una volta installato sul proprio smartphone, consente di lavorare indisturbati in barba al ranking, alla disponibilità e all’anzianità di servizio dei colleghi rispettosi delle regole.

Truccando le carte si ottengono turni migliori e più lunghi e remunerativi, con una corsia preferenziale che innesca una guerra fra poveri e fa confluire un fiume di denaro nelle tasche degli sviluppatori dei software, una rete internazionale che prolifera nel Far West digitale. Per ottenere i servizi, infatti, i rider pagano un abbonamento mensile, che arriva fino a 50-100 euro, oltre alla tariffa per iscriversi. È possibile anche ottenere un profilo clonato bypassando i controlli anti-caporalato e il filtro del riconoscimento facciale. Il sindacato Uiltucs ha denunciato i sistemi illeciti, che di fatto impediscono ai rider “regolari“ di lavorare, all’Ispettorato del Lavoro e ha chiesto un incontro a Glovo Italia. Incontro che dovrebbe essere fissato dopo le festività natalizie. Glovo, intanto, ha sottolineato che anche la piattaforma è vittima di queste app “pirata“ e ha ribadito il "rispetto delle norme" per il contrasto del caporalato.

Un problema che riguarda solo questa piattaforma del delivery, visto che gli altri colossi del settore che non applicano contratti subordinati, come Deliveroo o Uber Eats, usano il sistema del “free login“ (criticato dai sindacati) che consente di lavorare a chiunque si connette in un determinato momento della giornata, creando quindi un bacino enorme di fattorini disponibili. Il business delle app è alimentato su chat Telegram, store o siti internet, al centro di un “mercato nero“ che prospera alla faccia anche di passi avanti come la direttiva della Commissione europea per i lavoratori delle piattaforme digitali.

"Il tutto – spiega Mario Grasso, sindacalista della Uiltucs – nonostante le indagini della Procura di Milano, i tavoli ministeriali a seguito della firma del protocollo nazionale tra Assodelivery e Cgil, Cisl e Uil in contrasto al caporalato e alle forme illecite di intermediazione digitale, e nonostante quanto previsto dai contratti delle aziende del food delivery. A questi espedienti tecnologici, in teoria illeciti per le aziende della gig economy – prosegue – si aggiungono la creazione e gestione di profili falsi, il prestito di account a persone che non hanno un contratto di lavoro con Glovo. Infine si trovano pratiche di concorrenza sleale sulle posizioni strategiche per prendere gli ordini".

A farne le spese sono i fattorini che rispettano le regole, di fatto sostituiti (come è avvenuto a Rieti, dove è esploso il caso) da chi trucca le carte o costretti ad adeguarsi a un sistema che arricchisce i pirati del web.

 

 

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