Mario Benedetto
Economia

Capaccioli: “Milano, da modello a cortocircuito. Ora serve una rigenerazione vera”

Il presidente di Green Building Council Italia: “Non basta sanare, bisogna cambiare rotta e visione. Si è costruito molto, ma spesso senza costruire davvero una città”

Fabrizio Capaccioli

Fabrizio Capaccioli

Milano, 19 maggio 2025 – Presidente Capaccioli, quale rigenerazione è necessaria oggi per Milano?

Milano è diventata il caso emblematico di un sistema che ha perso l’anima. In pochi anni, siamo passati dal raccontarla come esempio virtuoso a vederla travolta da un modello speculativo che ha messo in secondo piano le persone, i quartieri, i servizi. Le inchieste in corso parlano di oltre 160 pratiche edilizie sotto esame: un numero enorme, che impone riflessioni profonde, non solo sul piano giuridico, ma soprattutto su quello politico e urbanistico.

Perché e come dovrebbe cambiare il modello milanese? Privilegiando visione e qualità. Strumenti come la SCIA edilizia, nati per semplificare, sono diventati scorciatoie per aggirare una vera pianificazione. Abbiamo assistito alla trasformazione di aree produttive in quartieri residenziali senza scuole, senza verde, senza piazze. Si è costruito molto, ma spesso senza costruire davvero una città. È un modello che ha alterato la percezione stessa di Milano nel Paese: da esempio da seguire a caso da arginare.

Un decreto “Salva Milano” può bastare?

Può servire per mettere ordine, ma se ci fermiamo lì facciamo solo un maquillage. Il problema non è il singolo abuso, è il sistema che l’ha generato. Serve riscrivere le regole del gioco, mettere al centro la sostenibilità vera, sociale e ambientale. Rigenerazione urbana non può essere solo una parola di moda: deve significare case accessibili, mobilità sostenibile, servizi pubblici, mix sociale.

E sul fronte dell’abitare?

I dati sono drammatici: negli ultimi dieci anni i canoni a Milano sono cresciuti di oltre il 40%, a fronte di un’offerta che spesso guarda più agli investitori internazionali che ai residenti. Non possiamo più permetterci una rigenerazione che produce gentrificazione. L’housing sociale non è un costo: è l’unica garanzia di coesione urbana. Serve un nuovo patto pubblico-privato: incentivi sì, ma solo se ciò che si realizza ha un ritorno per la collettività.

Gestione pubblica e privata insieme?

In molti Paesi europei funziona così. La gestione del patrimonio residenziale viene condivisa, con modelli trasparenti ed efficaci. In Italia, invece, c’è ancora troppa diffidenza ideologica. Ma se vogliamo davvero affrontare l’emergenza abitativa, dobbiamo avere il coraggio di innovare anche nella governance.

E guardando all’Europa? La Direttiva Case Green rappresenta una sfida o un rischio?

Entrambi. La direttiva nasce con buone intenzioni: ridurre le emissioni, migliorare l’efficienza energetica, riqualificare un patrimonio edilizio ormai obsoleto – in Italia oltre il 70% degli edifici ha più di 40 anni. Ma se non viene accompagnata da misure eque, rischia di diventare una “patente verde” per chi può permettersela.

Non possiamo pensare che famiglie o piccoli proprietari affrontino da soli i costi di riqualificazione. Servono strumenti di sostegno strutturali, non solo bonus temporanei. E serve flessibilità: l’efficienza non può essere imposta dall’alto con lo stampino, dev’essere calata nella realtà di ciascun territorio.

Come il Green Building Council Italia sta affrontando questa fase?

Noi continueremo a lavorare affinché la rigenerazione urbana sia concreta, misurabile, inclusiva. Promuoviamo protocolli che tengano insieme ambiente, salute, inclusione sociale, valore economico. Ma dobbiamo dirci la verità: serve una visione nuova, altrimenti rischiamo di fare greenwashing anche sull’urbanistica. Milano può ancora essere un modello, ma non quello che abbiamo visto negli ultimi anni. Un modello che sappia unire bellezza e giustizia, crescita e comunità. Che torni a mettere l’umano al centro.