ELVIO GIUDICI
Cultura e Spettacoli

Tjeknavorian, il giovane direttore della Sinfonica è già leggenda: “Una continua creatività è la strada giusta per attirare sempre più pubblico”

Trent’anni tra venti giorni, piace già per il suo approccio diretto: “Fare musica è prima di tutto lavoro: è importante essere convinti di quello che si fa”

Il Maestro Emmanuel Tjeknavorian sul podio della Sinfonica di Milano, nell’Auditorium Fondazione Cariplo di largo Mahler

Il Maestro Emmanuel Tjeknavorian sul podio della Sinfonica di Milano, nell’Auditorium Fondazione Cariplo di largo Mahler

Milano, 2 aprile 2025 – L’attribuzione - sacrosanta - del premio Abbiati è solo la ciliegina sulla torta: Emmanuel Tjeknavorian (trent’anni il 22 aprile: auguri molti; nato a Vienna da padre armeno compositore e direttore d’orchestra, e da madre pianista; violinista di grande e meritato successo, passa al podio ma continua a praticare il violino; dal febbraio scorso, direttore stabile della Sinfonica di Milano, ex Verdi) è da tempo una delle più luminose realtà dell’odierno panorama musicale.

Ce ne sono parecchi, di giovani e financo giovanissimi già etichettati quali star della bacchetta: ma il nostro ha caratteristiche - tanto musicali quanto umane - tutte sue: che hanno letteralmente contagiato un’orchestra sempre stata buona, ma (sorprende sempre, il come un direttore possa fare la differenza in un amen di tempo) che ha subito risposto di slancio, con una palpabile affinità d’intenti che l’ha fatta diventare compagine di primo piano nel panorama musicale italiano.

Ha importanza, per un direttore, essere direttore stabile di un’orchestra?

“Grandissima. Si è maggiormente spinti a dare il massimo: si costruisce il suono dell’orchestra e nello stesso tempo la continuità rinsalda il necessario dialogo tra orchestra e pubblico: si diventa una vera comunità, che viaggia tutta insieme nei sentieri della musica”.

Questo si riflette nella scelta del repertorio?

“In parte. Non credo molto ai cosiddetti “percorsi programmatici”: continuare a proporre un certo periodo musicale, oggi non ha senso. Preferisco affrontare titoli che prima di tutto piacciano a me: solo così, frequentando tutta l’immensa tela del repertorio musicale e scoprendone assieme all’orchestra i minuti dettagli, ogni concerto diventa un’esperienza nuova, un continuo crescere di creatività che ritengo sia la strada giusta per attirare sempre più pubblico, giovane ma non solo”.

L’attenzione al pubblico, il rifiutare la torre d’avorio dell’artista inaccessibile, è qualcosa che Tjeknavorian non si limita a proclamare perché “fa fino”: già dopo pochi concerti è più che evidente, e rende veritiero l’altrimenti sorprendente aneddoto di un Maestro che passeggia nei pressi di largo Mahler e ferma diversi passanti chiedendo se conoscono l’Auditorium (“no? Ma venga, venga, vedrà che la musica le piacerà”). Bellissimo. Mi sono sorpreso a pensare a diversi Maestrissimi: me li vedo, fare una cosa così… D’altronde, questa sua entusiastica spontaneità, quel suo bisogno di stabilire contatti diretti con gli esseri umani (tanto per dire, è del tutto assente dai social, cosa rara oh quanto) sprizza anche nei suoi concerti. Il 31 dicembre ha salutato il nuovo anno dirigendo una Nona di Beethoven esaltante nel suo lasciar perdere le antiche ponderose scemenze del “Destino che bussa alla porta” in favore d’una freschezza leggera, qua e là quasi danzante in un afflato melodico non contraddetto bensì esaltato dalla rigorosissima esattezza ritmica: e alla fine abbracci calorosissimi a tutti gli orchestrali in papillon rosso, e baciamano alle dame con fiocco rosso sul petto. Come del resto mi è piaciuto immensamente quando ha applaudito calorosamente gridando “bravo” con squillante voce da tenore al violinista Benjamin Schmid al termine del concerto n.2 di Paganini.

Cose così, potrebbero far pensare a uno zuzzurellone superficiale un po’ esibizionista come purtroppo ce ne sono tanti: niente affatto, capisci subito che sono gesti del tutto spontanei, propri di un artista letteralmente “fatto di musica”, che nel farla sprizza una gioiosa esultanza subito contagiosa. Ma quando dà l’attacco, è tutta un’altra, serissima storia.

Come funzione il suo lavoro con questa orchestra?

“Fare musica è prima di tutto lavoro. Anche per questo è importante essere tutti convinti di quello che si fa: così il minuzioso lavoro quotidiano diventa più facile, si controllano tutti i particolari, si discute sul senso che questi assumono nel totale. A me interessa lavorare con persone che siano davvero persone: appassionate, aperte, disponibili. Le ho trovate. Il mondo cambia di continuo, lo dobbiamo comprendere: usare quel che sappiamo del passato, della tradizione, per connetterla al presente”.

In tema di repertorio, domanda d’obbligo è se prima o poi affronterà l’opera.

“Assolutamente! L’opera racconta, è un meraviglioso mix di musica, teatro, impatto visivo. La sento come una naturale estensione dei vari pezzi concertanti che amo moltissimo dirigere, in cui si stabilisce un rapporto quasi teatrale tra l’orchestra che accompagna e i solisti che cantano”.

Se posso dirlo, non vedo l’ora. Specie dopo aver ascoltato, subito dopo questo breve scambio con lui, il bellissimo concerto in cui Tjeknavorian ha fatto ascoltare una compilation personale delle tre Suites dal “Romeo e Giulietta” di Prokofiev; tavolozza favolosa di colori, esplosioni ritmiche da film di Tarantino, abbandoni melodici lancinanti: già teatro puro. Il disco, elemento sempre prezioso, conserva l’interpretazione di questa stessa musica da parte dell’Armenian Philharmonic Orchestra diretta da… Loris Tjeknavorian. Da padre a figlio, buon sangue non mente. I prossimi due concerti (tutto Ravel il 4 e 6; torna a suonare il violino il 5 in brani da camera col pianista Sergei Babayan) promettono faville: e l’opera si profila più nitidamente col rossiniano Stabat Mater previsto per il 15 e 17.