
Un momento di “The Book of Mormon“, musical premiato con 9 Tony Award
Milano, 14 settembre 2025 – Non temo il mormone in sé, ma quello che è in me, verrebbe da dire parafrasando Gaber davanti a quel “The Book of Mormon” in scena agli Arcimboldi dal 10 al 21 dicembre.
Con i loro tic, i loro eccessi, la loro esaltazione dai risvolti spesso malinconici, i missionari più popolari del West (End) approdano alla Bicocca dopo aver “convertito” diciassette milioni di spettatori in tutto il mondo con il musical più controverso e amato degli anni Duemila in versione originale, frutto della irresistibile sfrontatezza della coppia Trey Parker e Matt Stone, già autrice della serie televisiva South Park, ma anche del compositore Robert Lopez, co-creatore del blockbuster broadwayano “Avenue Q” e irrinunciabile presenza delle colonne sonore di classici Disney come “Frozen” o “Coco”.
La storia è quella di Price e Cunningham, due estroversi predicatori diciannovenni di Salt Lake City, che si ritrovano paracadutati in un angolo di Uganda a propagandare il sacro verbo scontrandosi con una realtà dai risvolti tragicomici fatta di guerre, cannibalismo, stupri, Aids, mutilazioni e virtù curative del sesso con le rane. Provocazione a cui la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni avrebbe reagito… trovando il tutto un’oscenità divertente.
“Anche se i mormoni sono persone gentili, intelligenti, non pensavamo che sarebbero arrivati al punto di mettere i loro annunci pubblicitari nel nostro programma di sala...” si stupiscono i protagonisti Adam Bailey e Sam Glen, interpreti rispettivamente di Price e Cunningham, di passaggio a Glasgow lungo la strada per Milano.
Qual è l’aspetto più difficile del lavorare ad un testo come questo?
Bailey: “Richiede una gran quantità di energia e molta fisicità. Diversi di noi, infatti, non escono mai di scena. Mantenere uno standard a questi livelli per otto repliche la settimana per 16 mesi diventa una faticaccia”.
Ma ce la fate lo stesso.
Glen: “Sì. Perché ‘The Book of Mormons’ è un musical fantastico, un capolavoro in scena da quasi 15 anni. Certo portare in scena il musical più oltraggioso del mondo è un duro lavoro, ma qualcuno deve pur farlo. E noi lo adoriamo”.
Qual è il vostro rapporto con i mormoni?
Glen: “Vengono in quasi tutti i teatri dove portiamo lo spettacolo e distribuiscono all’uscita il loro Libro di Mormon. Non ne hai trovato uno davvero critico con quel che rappresentiamo”.
Bailey: “In fondo per loro è tutto marketing gratuito, no? Diffondendo pure noi la parola del Signore”.
Qual è il passaggio dello spettacolo che preferite?
Glen: “Ognuno ha il suo. Il mio è ‘Man up’ perché è il punto di svolta del percorso seguito dal personaggio che interpreto. E poi si tratta di una canzone piuttosto famosa, che fa sempre piacere cantare”.
Bailey: “Stesso motivo per cui io scelgo ‘I believe’, altro momento di svolta molto potente, anche perché c’è tutta la compagnia a cantarla con me. Mi piace anche ‘Spooky mormon hell dream’ che canto sballottato a destra e sinistra dai demoni. Una cosa semplicemente stupida”.
E poi c’è l’introduzione di “Hello”, uno dei momenti più iconici della storia del musical.
Bailey: “Avvio potente in cui i diversi personaggi entrano uno dopo l’altro nella storia. Momento satirico, ma anche poetico, che mostra mormoni credere davvero nella loro missione, mettendo a nudo una certa purezza d’animo. Questo perché lo spettacolo inizia in un modo e finisce in un altro”.
Dove sta il segreto?
Bailey: “Forse nel mettere uno specchio davanti al pubblico e chiedergli di guardarci dentro e trovare la propria umanità in questo mondo satirico fuori dal comune. Penso che quella di ‘The Book of Mormon’ sia una comicità che nasce dalla verità”.
A Milano si chiude.
Glen: “Sì, il tour finisce a Milano. Parte dell’emozione con cui ci prepariamo ad affrontare il pubblico italiano è data pure da questo. Mi spiace solo allentare i legami costruiti coi compagni in mesi e mesi di repliche. C’è, infatti, molta complicità tra noi, che ci sosteniamo a vicenda, perché l’impegno è importante e, in quanto esseri umani, non possiamo essere sempre al 100%”.