ALESSANDRA ZANARDI
Cultura e Spettacoli

Quel fantastico Teatro Patologico a Sanremo: “Emozioni per guardarsi dentro”

La recitazione come terapia, l’attore-regista milanese ha portato all’Ariston il suo sodalizio romano. “A 19 anni mi feci ricoverare al Paolo Pini, per capire come trattavano i malati. Il ricordo? La solidarietà”

Dario D’Ambrosi con Carlo Conti e i ragazzi di Teatro Patologico sul palcoscenico dell’Ariston. L’associazione affronta la disabilità mentale attraverso la recitazione

Dario D’Ambrosi con Carlo Conti e i ragazzi di Teatro Patologico sul palcoscenico dell’Ariston. L’associazione affronta la disabilità mentale attraverso la recitazione

SAN GIULIANO MILANESE (Milano) – Con la “teatroterapia”, sul palco salgono autistici, depressi, bipolari e schizofrenici. “Nella gestione della malattia mentale, la recitazione può essere uno strumento da affiancare alle terapie farmacologiche”. Reduce da uno strepitoso successo a Sanremo, dove i suoi ragazzi sono stati ospiti della terza serata del Festival di Carlo Conti, Dario D’Ambrosi, attore e regista, ripercorre la nascita di Teatro Patologico, associazione con sede a Roma, che permette ai disabili mentali di fare teatro e diventare più consapevoli. Sessanta gli attori che compongono la compagnia, “ma riceviamo decine di richieste da tutta Italia, ogni giorno”, dice il regista, classe 1958, nato e cresciuto a San Giuliano Milanese da genitori salernitani trapiantati al Nord (suo padre faceva il vetraio). D’Ambrosi ha raggiunto la notorietà recitando nella serie tv “Romanzo criminale”, ma è apparso anche nel film “La passione di Cristo”, di Mel Gibson: era un sadico flagellatore.

Una carriera eclettica, dal calcio al cinema.

“Ho giocato per quattro anni nelle giovanili del Milan, da ragazzo sognavo di fare il calciatore. Poi c’è stata la virata verso il teatro, quasi per caso. Tutto è iniziato a San Giuliano: lì ho tirato i primi calci al pallone e lì ho messo in scena il mio primo spettacolo nella palestra della scuola di cui, anni prima, ero stato studente”.

L’interesse per il disagio mentale è sempre stato centrale.

“A 19 anni mi feci internare nell’ospedale psichiatrico Paolo Pini di Milano per capire come venivano trattati i malati. Un’esperienza ad altissimo impatto. Ai tempi c’erano pochi psicofarmaci e la necessità di adattarli a patologie diverse provocava a volte reazioni incontrollate. Quello che ricordo è la solidarietà tra i pazienti. Se qualcuno aveva delle crisi, con urla e strepiti, gli altri malati facevano baccano, per coprire il rumore ed evitare così l’intervento degli infermieri, che avrebbe comportato sedazioni e camicie di forza”.

Teatro Patologico è nato nel 1992. Qual è l’idea di fondo?

“Proporre alle persone con disabilità mentale una serie di esercizi, a volte anche violenti, per portarle a riconoscere la propria patologia e il proprio dolore. Un esempio? Ci si mette davanti a uno specchio e si descrive ogni dettaglio del proprio viso. Sembra banale, ma è un confronto con sé stessi che può scatenare emozioni forti. Un modo per guardarsi dentro”.

Come siete finiti sul palco dell’Ariston?

“Ogni anno curiamo una rassegna di cinema internazionale sui temi della malattia mentale e dell’emarginazione. Abbiamo ospiti importanti, l’ultima volta è toccato a Leonardo Pieraccioni. È stato lui a segnalarci a Carlo Conti. Al Festival ci hanno messi in scaletta prima dei Duran Duran, milioni di spettatori erano sintonizzati in quel momento. Incredibile”.

Quali traguardi ora?

“La settimana prossima sarò a Los Angeles per presentare il mio ultimo film, “Io sono un po’ matto, e tu?”. E a giugno andrò a parlare di teatroterapia alle Nazioni Unite”.

Qual è il suo sogno?

“Che il teatro venga introdotto come materia obbligatoria nelle scuole. Un antidoto anche contro il bullismo”.

Che rapporto ha oggi con San Giuliano?

“Ci torno spesso. Mi piacerebbe regalare ai bambini della città un teatro dei burattini, per fare aggregazione”.