MASSIMILIANO CHIAVARONE
Cultura e Spettacoli

Peppe Servillo e la sua musica: "Milano, fiabesca e sorprendente"

"Questa è una città che mette in comune tutte le culture e le provenienze che diventano patrimonio dell’intero Paese, un ruolo proprio soltanto di una capitale"

Peppe Servillo

Milano, 10 luglio 2016 - «Milano è una città che mette in comune tutte le culture e le provenienze che diventano patrimonio dell’intero paese». Lo racconta l’attore e musicista Peppe Servillo. «E questo è il ruolo che svolge una capitale». 

Capitale culturale viste le sue esperienze sia come componente degli «Avion Travel» sia nel campo della recitazione? «Sì, il mio primo contatto con Milano risale agli inizi degli anni ‘90 con gli «Avion» per un concerto all’Arena Civica. Una grande emozione. Ebbi immediatamente la sensazione di venire in una città crocevia della musica italiana e straniera e di entrare in contatto con un pubblico abituato a proposte inedite. Era il periodo di «Bellosguardo», il disco che ha segnato la nostra svolta verso una nuova forma musicale e proprio in quel momento a Milano ci stavamo confrontando con le pietre miliari della musica pop-rock che si erano già esibite qui. Pochi anni dopo un incontro che avrebbe cambiato la storia degli «Avion Travel», sempre a Milano, città degli approdi e dei debutti».

Parla di Caterina Caselli? «Una donna curiosa e dotata di grande intuito. Pubblicò il nostro album «Opplà», comprando i diritti del precedente. Abbracciò con la «Sugar» l’intero progetto. L’altro nostro interlocutore milanese è la storica agenzia «Cose di musica». Con sempre donne ai posti di comando. Milano città delle donne. Qui sono tanti i ruoli di responsabilità occupati da donne, soprattutto nello spettacolo, lo dico da uomo del Sud constatando che nella nostra cultura resiste il pregiudizio. A Milano, invece, ha poco peso».

Si erano dischiuse nuove strade per voi? «Sì, perché Caterina ci spinse ad andare avanti e questo sostegno ci portò poi a vincere Sanremo nel 2000 con «Sentimento». Ma soprattutto abbiamo cominciato a Milano il nostro percorso con Paolo Conte per il disco «Danson metropoli», un momento anche doloroso perché alcuni di noi avevano deciso di fare altre esperienze».

Ma quando ha cominciato a conoscere Milano? «Con mio fratello Toni con cui ho debuttato al Teatro Grassi nel 2013 ne «Le voci di dentro» di Eduardo. È stato il mio esordio nella prosa. Siamo due fratelli nella vita e lo eravamo in quel momento anche sulla scena. Toni è un uomo di esempio, non mi parlava, preferiva mostrarmi direttamente sul palcoscenico, lavorando sull’espressione, sul corpo, sulla relazione con gli altri. E poi, quando finivamo, Milano era nostra. Toni ama molto questa città e mi portava spesso in giro. Lui stesso ha accarezzato l’idea di trasferirsi qui».

E di fronte a che tipo di città si è trovato? «Una città di terra e di acque. Me ne sono reso conto soprattutto durante il mio ultimo soggiorno per «L’opera da tre soldi» al Piccolo. Un binomio che stimola la mia fantasia e che trasforma Milano in un luogo fiabesco e che sorprende, perché un po’ si scopre un po’ si nasconde».

Qual è la via che preferisce? «La via San Marco, in particolare quel tratto occupato dal Ponte delle Gabelle con la chiusa progettata da Leonardo Da Vinci e le originali porte in legno del ‘400. È come scoprire una delle matrici storiche della città. Penso a come il Naviglio abbia modificato profondamente Milano e come l’acqua l’abbia modellata incessantemente. Apprezzo l’idea di riaprire i Navigli, verrebbe fuori il volto vero della città, sepolto da tanto cemento servito per chiudere i suoi canali, le sue vene ed arterie che arrivavano sino al suo cuore».

Ci sono altri elementi che la legano a Milano? «Sì, Fabrizio Bentivoglio, un amico, un collega con cui ho interpretato proprio a Milano, la mia operina «La guerra vista dalla luna» che abbiamo rappresentato al Leoncavallo nel 1999, poi andata in onda sulla Rai. È la storia di due soldati di ventura uccisi e che riconoscono l’umanità del nemico. Ma soprattutto capiscono che la guerra è sempre e solo distruzione e non ha nulla a che fare con l’idea di giustizia. Quelle recite furono fortemente simboliche proprio perché andammo in scena in un centro sociale famoso per le sue posizioni «contro» e che invece in questo caso diventava centro di diffusione di cultura e di dialogo».

Per lei Milano cos’é? «Una città dove le mie ambizioni hanno trovato terreno fertile e sono diventate vive e concrete». mchiavarone@gmail.com