DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Nicoletta Romanoff e l’addio allo zar: “L’amicizia con Dio è nata da bambina. Sono divisa tra Russia e Sicilia”

Il nonno Nicola “principe” in esilio, il suicidio del fratello, il lavoro su se stessa: “Oggi mi sveglio presto, mangio bene, mi alleno. E dico una preghiera...”

Nicoletta Romanoff, nome d'arte di Nicoletta Consolo. Attraverso sua madre, l'attrice è diretta discendente degli zar Nicola I di Russia

Nicoletta Romanoff, nome d'arte di Nicoletta Consolo. Attraverso sua madre, l'attrice è diretta discendente degli zar Nicola I di Russia

MILANO – “A life to tell”, dicono gli inglesi. Una vita da raccontare. Fra cicatrici e successi. Inciampi e ripartenze. Come tutti? Forse. Ma certo ne sa qualcosa Nicoletta Romanoff, con quel nome che profuma di Palazzo d’Inverno. Ci ha fatto perdere la testa da ragazzini, mentre ballava in “Ricordati di me“ di Muccino. La si ritrova autrice per Rizzoli di “Come il tralcio alla vite” (oggi alle 18.30 la presentazione in Galleria). Ovvero il racconto del proprio percorso di fede, segnato dal suicidio del fratello quando aveva 18 anni. Da allora un cammino complesso. Dove la recitazione ha sempre più avuto un ruolo marginale. A favore di altro. A partire dai quattro figlioli.

Nicoletta, a quando risale la sua “amicizia” con Dio?

“A quando ero bambina. Alle elementari avevo una maestra irlandese, donna bellissima, dal viso angelico. Lei ci parlava di Dio come di un amico. Sui disegni scrivevo “Jesus I love you“. Eppure la mia famiglia non era devota, anzi. Con la morte di mio fratello ho poi capito che avevo bisogno di aiuto, ma che per fortuna sapevo a chi rivolgermi. Anche se inizialmente era una fede aperta, anticonformista, non avevo ancora afferrato la potenza enorme dei sacramenti come ponti fra la spiritualità e la vita di tutti i giorni”.

Una conoscenza progressiva?

“Sì, graduale e intima, nessuna folgorazione. E infatti per me è ancora piuttosto strano parlarne, è qualcosa del cuore”.

Com’era suo fratello?

“Aveva un carisma magnetico, sempre curioso, parlava con tutti. Dimostrava una sapienza sorprendente per la sua giovane età”.

Subito dopo lei ha il primo figlio e arriva Muccino.

“La recitazione è stata un rifugio. Nicoletta non esisteva più, di mio fratello non parlavo. Indossavo nuovi abiti e nuovi nomi, un percorso salvifico nel momento in cui la mia identità era frammentata. Ho dovuto a lungo andare in giro e scavare come un’archeologa per recuperare i vari pezzi di me, metterli piano piano insieme, ricostruire l’anfora”.

Il mondo dello spettacolo non sembra il luogo ideale per affrontare un grande dolore.

“Possono tempestarti di domande sulla tua vita amorosa ma è difficile che qualcuno entri in reale contatto con te, che nasca una conversazione intima, sincera. All’epoca potevo quindi sorvolare su alcune cose, sono arrivata a dire che ero figlia unica. Mi sentivo molto esposta ma per lo più in maniera superficiale. Forse anche perché rispetto al successo avevo basi piuttosto solide per non precipitare”.

Una Romanoff.

“Già, la visibilità non era proprio uno sconvolgimento per una ragazza di Roma con alle spalle la storia di famiglia di mia madre e un papà avvocato famoso”.

Suo nonno Nicola?

“Ero legatissima a lui. Un uomo nato in esilio, a Cap d’Antibes. All’epoca erano fuggiti con quello che avevano addosso ma fu comunque cresciuto come un principe: maestri privati e un cosacco per insegnargli l’uso delle armi. Aveva sempre avuto il sogno di rientrare in Russia e nel 1999, dopo anni di negoziazioni, ebbe la possibilità di presenziare i funerali ufficiali dell’ultimo zar e di chi morì con lui a Ekaterinburg. Un’emozione indescrivibile”.

Lei c’era?

“Sì, avevo studiato per due anni il russo per prepararmi all’evento. Tutti a San Pietroburgo, nella Cattedrale di San Pietro e Paolo”.

Quanto si sente erede di quell’orizzonte culturale?

“Sono scissa. Ho una certa sicilianità che proviene da mio padre. E poi questa tensione spirituale così russa, dai toni dostoevskijani, che spinge a perdersi nelle stanze interiori”.

Alioscia Karamazov è uomo di grande fede e di grandi dubbi.

“Impossibile non averli. Più credi, più dubiti. Ne aveva perfino Madre Teresa. D’altronde basta accendere la televisione per domandarti dov’è Dio. Ma un caro sacerdote mi disse una volta che la domanda giusta è: dov’è l’uomo? Anche durante la scrittura del libro ho avuto una caduta. Quando è morto mio padre ho visto nero, non mi sentivo più all’altezza del compito”.

Com’è la sua quotidianità?

“Mi sveglio presto, mangio bene, mi alleno. Sono estremamente organizzata, forse per bilanciare il disordine interno che ho avuto per tanti anni. E poi mi ritaglio sempre un momento per pregare, ringraziare, fare discernimento, altrimenti divento inquieta. Un percorso in cui però mi ha aiutato molto anche la terapia. Ci ho messo dieci anni a trovare il modo e la persona giusta”.

Tutti vorranno sapere almeno il modo.

“L’analisi transazionale”.

I figli crescono, vorrebbe tornare ora con più frequenza alla recitazione?

“È possibile che succeda, mi sento più solida. Ho anche scritto una sceneggiatura sull’attentato a Papa Wojtyla, uno dei miei obiettivi oggi è riuscire a produrlo”.