
Un’immagine della riproduzione di Ötzi
Da ieri in libreria il romanzo “Di freccia e di gelo" di Piero Lotito, già giornalista de Il Giorno, pubblicato da Mondadori. È il suo terzo romanzo, dopo “La notte di Emil Vrána“ (Edizioni San Paolo) e “Il pugno immobile“ (Aragno). Ha anche pubblicato “Intervista su Milano“ (La Vita Felice) e “Lo zio Aronne somigliava a Jean Gabin“ (Edizioni Ares).
Milano – Un romanzo molto particolare, un’opera di immaginazione e sensibilità che ci porta molto, molto indietro nel tempo: addirittura a cinquemila anni fa. Piero Lotito parte da un fatto straordinario e realmente accaduto, e cioè il ritrovamento avvenuto nel 1991, sul confine tra Trentino Alto Adige e Austria, di quella che è definita la mummia del Similaun (che è un ghiacciaio), o l’uomo del Similaun, chiamato poi Ötzi, vissuto nell’età del rame.

Il nostro scrittore ne recupera l’identità: Otzi rende quel personaggio, dopo la morte dello stesso, l’io narrante, che racconta le vicende, insieme elementari e complicate, della sua vita, durata quarantasei anni. Siamo in un villaggio minimo, con le usanze di una realtà per noi, ovviamente, lontanissima nei dettagli della quotidianità, ma, comunque, ancora a noi ben vicina per emozioni, umori, aspettative, circolazione di sentimenti.
Il protagonista-narrante, il cui nome è Ots, vive con la madre Mael e il padre Urd, ma li perderà presto, in momenti diversi, e dal suo racconto, felicemente articolato nei dettagli grazie alla bravura del narratore Lotito, entriamo nelle necessità di procurarsi armi adatte alla caccia e in particolare l’importanza e l’abilità per la decisiva costruzione di un arco e per poter disporre delle necessarie frecce, in una realtà sempre a contatto con vari animali, mentre la piccola comunità struttura la propria vita in base a semplici regole e al controllo di un capovillaggio. A un certo punto compare la minacciosa presenza di un popolo estraneo, ma territorialmente vicino, ed è gente assai ruvidamente selvatica.
Amore e morte fanno ovviamente la loro sostanziale parte, con la presenza mobile e rilevante di un personaggio femminile, che entrerà in modo piuttosto complicato nella vita del nostro Ots. E questo non senza equivoci e normali, umanissime gelosie. Rilevante è l’ambiente, nei suoi boschi, nei suoi monti e nel suo freddo fino al gelo. Lotito ha il merito di farci entrare in una vicenda tanto lontana dalla nostra esperienza, dalla realtà riconoscibile in cui viviamo o in cui si era comunque vissuti in epoche non così remote, di cui possiamo avere nozione, testimonianze.
E lo fa con impeccabile naturalezza, tanto che il lettore non avverte quasi mai la propria distanza da quel mondo e da quei personaggi. Ots pensa, spiega i suoi pensieri, e parla: troviamo infatti molti efficaci dialoghi, descrizioni accurate di situazioni e intenzioni, come se l’autore avesse di fronte a sé la scena. A volte come in un film d’autore, altre volte come in un sogno, peraltro molto consequenziale, vivace e realistico. Ed è utile, in qualche modo il confronto involontariamente indotto tra una realtà, la nostra nel nostro tempo, tanto segnata dall’artificio e dalla spettacolarizzazione, e una umanissima elementarità nel rapporto diretto e non più mediato del soggetto (e dei suoi vicini d’ambiente e abitudini) con il reale dell’esperienza nelle sue varie (e spesso immutabili) manifestazioni: nel bene e nel male dell’esistere.