ANDREA SPINELLI
Cultura e Spettacoli

Michele Bravi: “Scrivo un po’ da poeta e un po’ da pornostar. Ho quasi 30 anni (e il collo malandato), ma potrei tornare ragazzo in stile Cocoon”

L’ex rivelazione di X Factor porta agli Arcimboldi di Milano l’album ispirato a Oliver Sacks: concerto il 30 settembre. “Arrivo al fatidico compleanno mentalmente preparato, mi definisco ‘trentenne’ già da quando di anni ne avevo solo 25”

BRAVI

Michele Bravi, 29 anni sarà in concerto il 30 settembre agli Arcimboldi con le canzoni dell’ album “Tu cosa vedi quando chiudi gli occhi”, ispirato al testo “Musicofilia – Racconti sulla musica e il cervello” di Oliver Sacks

È un viaggio alla riscoperta dell’“enorme importanza, spesso sottostimata, di avere due orecchie”, come dice Oliver Sacks, quello che Michele Bravi compie il 30 settembre agli Arcimboldi tra le canzoni dell’ultimo album “Tu cosa vedi quando chiudi gli occhi”, ispirato proprio al saggio “Musicofilia – Racconti sulla musica e il cervello” del celebrato neurologo inglese. Dopo l’assaggio offerto in primavera al Dal Verme, l’ex rivelazione di X-Factor approda alla Bicocca con lo spettacolo completo concepito su questo suo nuovo capitolo discografico, mettendone a nudo la scrittura “un po’ da poeta e un po’ da pornostar” (definizione sua) con un evocativo approccio visivo grazie a “un suono rarefatto che lascia spazio all’immaginazione di chi ascolta”. “L’anteprima di maggio era focalizzata solo sulla musica, mentre agli Arcimboldi proviamo ad alimentare un immaginario tridimensionale”, racconta. “C’è pure un po’ di recitazione nella parte in cui cito un testo di Tabucchi tratto da “I volatili del Beato Angelico” per introdurre la cover di Fossati “C’è tempo“, anche se è meno del solito la narrativa che fa da collante tra le canzoni”.

Perché lo definisce un “percorso musicale tra figure retoriche e immaginazione”?

“Perché tutto parte dagli elementi “tecnici“ del componimento in versi: metafora, similitudine, sinestesia. Tant’è che apro il concerto con le parole di Giuseppe Ungaretti, Alda Merini, Giorgio Caproni per descrivere cos’è e dove nasce la poesia”.

La direzione dello spettacolo è di Carlo di Francesco, marito-percussionista di Fiorella Mannoia.

“Io e Mannoia ci conosciamo dai tempi del mio primo Sanremo, quello del 2017, in cui gareggiavo con “Il diario degli errori“ e lei con “Che sia benedetta“. Ma è stato Carlo col tempo a dirmi: “Tu e Fiorella mi fate un po’ paura perché siete uguali, dovresti conoscerla meglio“. Effettivamente la similitudine tra i nostri caratteri è forte. E, in questo tour con cui festeggia 70 anni, è stata gentilissima a volermi sul palco con lei in più occasioni”.

Lei ha fatto un paio di Festival. E il proverbio dice che non c’è due senza tre.

“Già, ma lì non dipende da me. Sto scrivendo cose nuove e, se affiorasse qualcosa d’interessante, lo proporrei a Conti di sicuro. Per me Sanremo è un luogo del cuore, perché è lì che sette anni fa con “Il diario degli errori“ ho iniziato a fare questo mestiere per davvero”.

Lo scorso anno ha scritto “Dimora naturale” per Laura Pausini. Che significa comporre canzoni per altri?

“Sarò sincero, mi diverto più a scrivere per altri che per me. Questo perché posso usufruire di una libertà diversa, più nelle corde dell’interprete che nelle mie, quindi, tutto diventa meno autoreferenziale e, se si vuole, meno egoistico. E poi solo con quest’ultimo album mi sono sentito “cantautore“, prima ero molto più dubbioso sull’accollarmi il peso di un titolo del genere. Ora il termine non mi fa più paura”.

Il 19 dicembre compie 30 anni. Crolla il mondo, inizia un mondo nuovo o è un traguardo come gli altri?

“Dopo una settimana di osteopata per la cura del mio collo malandato, propenderei per la prima idea; anche se emotivamente sono più per la seconda. Debbo dire che arrivo al fatidico compleanno mentalmente preparato, visto che mi definisco ‘trentenne’ già da quando di anni ne avevo solo 25. Questo forse perché le domande importanti sull’esistenza me le pongo già da tempo. Quindi, andando avanti con gli anni, potrei anche regredire e tornare ragazzo con un processo biologico un po’ alla Cocoon”.

In questa sua maturazione accelerata quanto ha contato il trasferimento da Città di Castello a Milano?

“All’inizio la perdita di quella familiarità collettiva che caratterizza i rapporti in provincia è stata scioccante, perché in una piccola realtà come quella da cui provengo è inconcepibile camminare per strada senza conoscere la gente che incroci. Un po’ come quando sei bambino e ti buttano in acqua, impari presto a nuotare, ma i primi attimi sono di terrore”.