ELISA GUZZO VACCARINO
Cultura e Spettacoli

Marco D’Agostin, Asteroide al Piccolo: “Ero snob, ora amo il musical. Lo conquisto con voce e corpo”

L’artista: io, paleontologo-performer, sento il privilegio di esibirmi nel tempio di Strehler. Mi sono preparato studiando un maestro come Fosse e sono andato a Broadway

Il musical è entrato nel radar di un danzatore speciale, Marco D’Agostin, classe 1987

Il musical è entrato nel radar di un danzatore speciale, Marco D’Agostin, classe 1987

Milano – A sorpresa, il musical è entrato nel radar di un danzatore speciale, Marco D’Agostin, classe 1987, che ha inanellato il suo percorso con lavori di tale felice impatto da meritargli il posto di artista residente del Piccolo Teatro. Dopo “First Love”, sul primo amore per lo sci di fondo con un’eroina, Stefania Belmondo, a ispirarlo, “Avalanche” sulla sopravvivenza umana in terra di giganti, “Gli anni” con Marta Ciappina, su un toccante dramma familiare della protagonista, e “Jérôme Bel”, rivisitazione dell’autobiografia di una delle figure di punta della post-danza francese, con un manipolo di amici-colleghi-complici della sua cerchia, stavolta dal 3 all’8 giugno presenta al Teatro Studio Melato il nuovo “Asteroide”, un solo dove un paleontologo-performer dà corpo e voce al suo mondo di ossa, creature estinte, materiale cosmico.

Il binomio scienza e intrattenimento è curioso, perché metterli insieme?

“Volevo trattare la questione del tempo in scena; nella danza di ricerca, si allunga, si trattiene al massimo; nel musical ogni movimento va dritto al bersaglio, deve intrappolare l’attenzione dello spettatore; il tempo dev’essere ‘giusto’; nel musical si passa dal gesto quotidiano al movimento danzato, al modo del sonnambulismo”.

Come si può affrontare un genere della cultura popolare, indossando un costume luccicante e una tuba, anziché i soliti panni?

“Ho imparato a trattare con rispetto un genere che guardavo con lo snobismo dell’ignoranza; mi sono preparato con un maestro che trasmette lo stile di Bob Fosse, il coreografo che trionfava a New York proprio mentre a pochi isolati di distanza nasceva la postmodern dance più ‘intellettuale’; ho cercato di capire la differenza tra Fred Astaire e Gene Kelly; ho fatto ‘il secchione’; sono andato a Broadway; ora voglio ‘irrompere’ nel mondo dorato del teatro musicale con voce e corpo; ma è il pensiero che deve diventare dorato”.

Quali canzoni da colonna sonora?

“Ho voluto scriverne di nuove e cantarle in omaggio al musical; con me hanno lavorato Luca Scapellato per il suono, Francesca Della Monica per la voce; tanti amici-ricercatori, tra cui Chiara Bersani e Marta Ciappina; Lisa Ferlazzo Natoli, regista romana, con l’esperienza di un teatro somatico che porta il segno di Pina Bausch, di Trisha Brown, di Merce Cunningham”.

Ci sono tanti libri letti, nel sottofondo della levità di “Asteroide”. Quali?

“Deleuze, Kermode, Coccia, Latour, Elizabeth Piovinelli, Anna Lowenhaupt Tsing, che scrivono di umanità, di ecologia, ambiente, piante, crisi climatica; tanta materia per il mio musical, che guarda pure ai saggi di Alain Masson, su Broadway-Hollywood”.

Perché il titolo Asteriode, parola inquietante che rimanda a catastrofi?

“Ci sono tante Apocalissi annunciate, un senso della storia che procede per catastrofi, la fine dei dinosauri, la fine dei Neanderthal; la linea d’argilla che segna la fine del Cretaceo-Paleogene e indica l’impatto di un asteroide sulla terra; dagli anni ’60 il tasso di estinzione delle specie è cresciuto velocemente; da un fatto personale, come la fine di una relazione, si passa ai fatti che colpiscono umanità e pianeta; la scienza non è immune dalle narrazioni; il luogo dei racconti non è solo il palco”.

Dopo “Works and Days” (Strehler, 28-30 maggio) dei FC Bergman, ispirato a Esiodo e al rapporto fragile che lega l’uomo alla Terra, “Asteroide” su tempi analoghi; viviamo in un’epoca di paura, da esorcizzare?

“Siamo sempre in un clima di allarme, per cui da una causa deriva un effetto; si temono catastrofi a cui sopravvivranno solo i più adatti. Come in un ballo in maschera le specie viventi cambiano pelle e costume. E abbiamo bisogno di conforto; entrano in gioco concetti come la fine, il destino, la memoria”.

Essere associato a un luogo sacro come il Piccolo di Strehler e Ronconi, è un onore o una responsabilità?

“Un privilegio, un grande presidio forte per l’arte del corpo”.