
Lino Guanciale è la "Fata dell'angolo" (foto Masiar Pasquali)
Milano, 8 marzo 2025 – Tremate, tremate: le fate sono tornate! Almeno quelle maliziose e travestite di Pedro Lemebel in “Ho paura torero“. Libro cult. Lo scorso anno portato in scena da Claudio Longhi, che ha scelto l’attivista queer cileno per la sua prima regia da direttore del Piccolo. Un successo. Dove si racconta l’incontro fra la Fata dell’Angolo (Lino Guanciale) e il giovane rivoluzionario Carlos. S’insegneranno a vicenda: la politica e il desiderio. Circondati dalle ombre nere di Pinochet. Spettacolo dai contorni programmatici. Profondamente antifascista. Da oggi di nuovo al Grassi di via Rovello. Con Guanciale affiancato da Daniele Cavone Felicioni, Francesco Centorame, Michele Dell’Utri, Diana Manea, Mario Pirrello, Sara Putignano, Giulia Trivero.
Che effetto le fa il ritorno della Fata? "Provo un grande piacere nel riprendere uno spettacolo tanto amato, anche perché non era detto che un autore di nicchia come Lemebel arrivasse con forza al pubblico, permettendoci di indagare una precisa pagina di storia e questa componente politico-erotica che apre ai temi del mondo lgbtqia+. Avevamo la percezione che potesse lasciare un segno. Non pensavamo così. Bello poi portare lo spettacolo anche a Napoli e Roma, mi pare necessario”.
L’orizzonte politico avrebbe inquietato Lemebel. “Rispetto a un anno fa assistiamo a un ulteriore passo indietro. Era difficile risultare più attuali. Ma è quello che succede”.
Il tema dell’identità? "Fondamentale. Qui nella convinzione che non ci possa essere educazione sentimentale senza un parallelo percorso di maturazione politica. E viceversa. A quel punto ci si muove in valori condivisi e l’inclusione non è solo pratica morale, perché ci sentiamo anime belle e felici. Ma diviene la costruzione di un contesto in cui ognuno possa vivere la propria identità anche dal punto di vista produttivo, contribuendo al benessere collettivo. I due protagonisti sono figure parallele e complementari”.
Carlos e la Fata. "Inizialmente paiono risolti dal punto di vista identitario. Carlos nella funzione di rivoluzionario, non scostandosi troppo dal tradizionale humus culturale machista; la Fata trovando un centro esistenziale nel privato, per cercare di sopravvivere, fra affetti e clienti. Il loro incontro è un miracolo, perché racconta di come possa esserci un virus comunitario che porti al cambiamento, a schiodarci da quella stabilità che ci siamo costruiti ma che non ci è sufficiente, non dico per essere felici – parola che non amo – ma almeno per stare bene”.
Perché non le piace il concetto di felicità? “È inquinato, ambiguo. Troppo spesso si lega all’idea di successo".
Lo spettacolo è un esempio di quel «teatro d’arte per tutti» che definisce il Piccolo. "Era l’ambizione del progetto. Facendosi sintesi delle due anime su cui si è costruito il più importante teatro pubblico italiano: da una parte la raffinatezza emotiva e poetica di Strehler, supportato dal vigore politico e pedagogico di Paolo Grassi; dall’altra l’intelligenza strutturalista, l’esplosione linguistica di Ronconi. C’è la volontà di tornare all’essenza del Piccolo. Alla sua missione fondativa”.
Proprio a Ronconi dedicate la prima recita, all’interno delle iniziative per il decennale dalla morte. "Collaborai con lui per gli spettacoli olimpici realizzati a Torino nel 2005/2006. Sei mesi di lavoro, la possibilità unica di viverne la progettualità linguistica. Lo considero uno dei momenti più importanti per la mia formazione post-accademia. In lui osservavi proprio la regola di cui parlava Hemingway”.
Equilibrio fra genio e sudore? "Fra l’ispirazione, che corrisponde all’1% del lavoro artistico, e la traspirazione, che invece ne determina il 99%. Un ramificato lavoro di indagine e studio, con l’obiettivo di trovare la chiave per parlare al proprio tempo”.
Sempre quella la sfida. "La più grande”.
Per il resto che momento è Guanciale? "Una fase piena, con i piedi ben saldi a Milano. La collaborazione con il Piccolo si svilupperà in molteplici progetti, ponendo sempre più il teatro al centro del mio mondo professionale. Cosa che mi rende felice, non certo nel senso di cui parlavamo prima…”.
Lei sembra sul punto di superare una soglia, andando a ricoprire un ruolo politico o di consulenza artistica, curatoriale. "Mi auguro possa essere una conseguenza organica del mio percorso. Ma per il momento lavoro per essere all’altezza del ruolo di artista associato al Piccolo. E la mia visione politica è tutt’uno con quella professionale, visto che per me si declina nella partecipazione attiva alla vita della polis, ponendo il teatro al centro della città”.