Guillame Tell di Rossini alla Scala: Pertusi e coro monumentali. Contestata la regia (forte) di Chiara Muti

In scena per la prima volta al Piermarini nella sua veste originaria. Un capolavoro sommo (l’ultimo del compositore pesarese), un’opera stilisticamente bifronte ma forse addirittura tricefala

Michele Pertusi (Credit Brescia/Amisano – Teatro alla Scala)

Michele Pertusi (Credit Brescia/Amisano – Teatro alla Scala)

Milano, 21 marzo 2024 – Capolavoro sommo, l’ultima opera scritta da Rossini (e che la si faccia sporadicamente dipende solo dall’estrema sua difficoltà esecutiva), che alla Scala va in scena per la prima volta nella sua originaria - e indispensabile - veste originaria: lingua francese per il francese Guillaume Tell, e integrale. Principale sfida posta al direttore è far cogliere alla platea la teatralità molto particolare di un’opera stilisticamente bifronte ma forse addirittura tricefala, posta com’è da una parte sulla strada Gluck-Cherubini-Spontini ma con tanto Mozart nel cuore; dall’altra, già prefigurante nettamente quanto di grand-opéresco e verdiano verrà ma che – terza via da tenere in vista - al cuore ferreamente neoclassico di Rossini non parlerà mai.

L’equilibrio tra questi così diversi stili, che Rossini compone magistralmente nella partitura, la concertazione di Michele Mariotti la traduce del pari magistralmente in suono facendola percepire come non era riuscito mai a nessuno. Cifra a mio avviso fondamentale, una sbalorditiva morbidezza che di tanto avvita una tensione incredibile in quanto gli infiniti particolari di strumentazione, raffinatezze armoniche, contrappunto, virtuosismo strumentale, mai paiono cincischi da topo di Conservatorio bensì tasselli d’un’architettura maestosa eppure mobilissima nel suo eccezionale articolarsi dei molteplici piani sonori: la storia dell’interpretazione rossiniana ricomincia da qui.

Circa il cast, in primo piano il vero protagonista dell’opera, il coro: porto un ulteriore vaso in una Samo ormai intasatissima, ma davvero mi difettano superlativi per descrivere i prodigi che fa ascoltare la compagine di Alberto Malazzi, apice i tre difficilissimi cori della congiura, che m’è sembrato ascoltare per la prima volta. Michele Pertusi è un Tell monumentale, tecnica e intelligenza di levatura superiore fuse in un fraseggio magistrale. Dmitry Korchak deve vedersela con una parte che fa sciorinare 93 la bemolle, 54 si bemolli e 15 si naturali, 19 do e 2 do diesis: lui non solo li emette con facilità sbalorditiva, ma dà loro significato espressivo sempre il più appropriato. Il resto del folto cast va dal buono all’onesto, con menzione particolare per la breve ma micidiale parte del pescatore Ruodi, che Dave Monaco realizza come meglio non si potrebbe.

Regia di Chiara Muti buatissima alla fine. Non concordo. C’è un’idea forte (violenza cieca che toglie ogni individualità all’oppresso, immerso in un buio perenne fino al luminosissimo do maggiore del finale) realizzata con coerenza drammaturgica e grande padronanza tecnica in uno spettacolo colossale che al Grand-Opéra rossiniano restituisce una grandeur che probabilmente solo la Scala, oggi, può concepire e realizzare.

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