GIORGIA MESSA
Cultura e Spettacoli

Giovanni Allevi, la malattia un percorso alchemico verso se stessi: “Crollano le maschere, resta solo l’amore totale”

Nel libro “I nove doni” il compositore e direttore d’orchestra ha cercato di dare un senso al mieloma che gli ha cambiato la vita: “Come insegnano gli alchimisti devi passare dal buio per arrivare alla luce"

Giovanni Allevi: "Nel dolore la via della felicità. Aprire il cuore, giorno per giorno alla meraviglia della vita"

Giovanni Allevi, 55 anni, ha presentato al pubblico il suo nuovo libro I nove doni (Solferino)

Milano, 21 settembre 2024 – Per prima cosa ha tradotto la parola mieloma in note musicali, seguendo il processo che utilizzava Bach. Poi, mentre era costretto in un letto di ospedale, “imbottito di oppioidi”, ha composto un concerto per violoncello. Così, Giovanni Allevi ha cercato di dare un senso alla malattia che gli ha cambiato la vita. Da qui nasce anche il suo ultimo libro “I nove doni”, edito da Solferino. “Non è un’opera autobiografica in cui racconto la mia sofferenza”, precisa il maestro alla presentazione nella Mondadori Duomo di Milano “ma, a partire da quella sofferenza, cerco di dare uno sguardo più universale, filosofico. È stato molto faticoso, non ho scritto di getto. Ho pesato ogni parola, perché sapevo che sarebbe stata letta da persone che vivono il dolore, in qualunque sua forma”. Porta un corsetto che gli sorregge la schiena, parla appoggiato a uno sgabello per alleviare il male, ma il suo viso e i suoi gesti liberano un’energia che illumina l’intera libreria e oltre. Giovanni Allevi, pianista, compositore e direttore d'orchestra di fama mondiale, non ha l’aria di un vinto, ma di un vincitore. Di fronte a una platea incantata racconta come la malattia lo abbia condotto verso se stesso. “Mi sento di ringraziarla” dice sorridendo.

“Chi vive la sofferenza inizia quella che gli antichi alchimisti chiamano la Grande Opera: un percorso di consapevolezza che si articola in tre fasi” continua, condividendo una riflessione fatta dopo l'uscita del suo libro. “La prima è l’Opera al nero: il momento in cui crollano tutte le certezze. Ciò che Dante descriveva come la discesa negli inferi. Penso a quando mi è stata comunicata la diagnosi del mieloma. All'improvviso, sono stato catapultato da un mondo a un altro. Ho provato un tale effetto di straniamento che mi sembrava di guardarmi da fuori, come se fossi in una fotografia”.

Allevi lo dice piano, quasi la sua voce fosse una eco sbiadita di quel passato. Poi torna a raccontare il processo alchemico. “In quel momento crollano le maschere e abbiamo due possibilità: abbandonarci alla disperazione o aspettare. Dopo un po' di tempo dalla diagnosi, io ho iniziato a provare una sorta di sollievo - sorride ancora, per quanto ciò che ha appena pronunciato possa suonare assurdo. “Sì, ho provato sollievo per il fatto di non avere più una definizione. Non suonavo più il pianoforte, non ero più quello di prima. Non ero più Giovanni Allevi. Tutte le etichette che mi erano rimaste appiccicate addosso nel corso degli anni perdevano di significato. E allora sono crollate le aspettative che io stesso avevo sulla mia vita e tutti i motivi delle ansie. È una situazione incredibile - ripete due volte quest'ultima frase, scandendo bene ogni parola.

“Pirandello dice che quando cadono le maschere, scopriamo di non essere nulla, ‘nessuno’. Io non ho avuto questa sensazione. Ho avuto la sensazione di approdare a una condizione che probabilmente è la nostra dimensione più autentica. Noi siamo qualcosa di bello dentro. Noi siamo belli. Noi siamo luce”. I tanti spettatori ascoltano rapiti, in silenzio, come in una seduta di meditazione collettiva.

“La seconda fase - continua Allevi - è quella che gli alchimisti chiamano Opera al bianco, perché la assimilano alla luce della Luna. È il momento della magia. Il momento in cui scopri l’infinita profondità delle piccole cose, che durante la vita quotidiana tendi a trascurare. Come dissi a Sanremo, è il momento in cui mi sono accorto, per esempio, che il rosso dell'alba è diverso dal rosso del tramonto. Perché proprio la luce argentea della Luna? Perché ci dà la possibilità di partecipare a una dimensione sfumata, una dimensione più femminile. C'è qualcosa di avvolgente e femminile nella luce bianca. Di notte tutto diventa poesia”.

Il maestro fa una pausa. Poi continua. “La terza fase, quella conclusiva, è l’Opera al rosso. Rosso come l'amore. Cioè, a quel punto, resta l’amore totale. E basta. Non mi importa più niente di niente”. Mentre scriveva “I nove doni”, dice Allevi, non conosceva ancora il processo alchemico della Grande Opera. Ma poi vi ha trovato una esatta corrispondenza con quanto ha voluto tracciare nelle sue pagine.

“Questo libro - ribadisce - Non è una riflessione sulle mie condizioni. Piuttosto il tentativo di accompagnarvi in una nuova visione del dolore e della sofferenza, come un cammino verso se stessi. Perché, come insegnano gli alchimisti, devi passare dal buio per arrivare alla luce e infine all'amore. Bellissimo!”. Tra il pubblico qualcuno si asciuga una lacrima. C'è ancora un messaggio importante che Allevi vuole dare.

Non è vero che dal mieloma non si guarisce mai. Dobbiamo trovare un altro concetto di guarigione, che si realizza giorno per giorno, pur nella sofferenza e nella paura. Ho pensato: se riesco a non farmi catturare dal gorgo della paura, allora ho vinto. Sono guarito”. In plate si leva un applauso fragoroso, per quel guerriero dai ricci argentei come la Luna.