
Piero Pelù e Ghigo Renzulli
Milano – “Suono un’oretta, quindi dodici brani o giù di lì, perché poi c’è l’incontro col pubblico e il firmacopie” anticipa Ghigo Renzulli parlando dello showcase con cui presenta sabato sera (8 febbraio) al pubblico del Legend Club la sua nuova fatica discografica. L’altra metà dei Litfiba, infatti, si racconta col repertorio di “Dizzy”, terzo capitolo della collana strumentale “No Vox” uscito a dicembre, e il sostegno di Richard Nielsen Cocciarelli alla batteria, Mauro Lallo al basso, Fabrizio Simoncioni alle tastiere. “La musica strumentale è più difficile da portare sui palcoscenici di quella cantata” ammette il chitarrista campano trapiantato a Firenze, 71 anni, “ma può arrivare a tutti perché non ha confini linguistici”.
Parliamo di “Dizzy”.
“Durante la lavorazione il disco si chiamava in un altro modo, ‘Sound of joy’, il suono della gioia; con riferimento ad un album di Sun Ra & The Arkestra registrato nel ’56 surfando sull’onda del filone “exotica” in voga quegli anni. Mi sono chiesto: se allora si faceva jazz su ritmi caraibici, perché io non posso provarci io oggi col rock? Detto e fatto”.

Perché poi ha cambiato titolo?
“Perché quando ho composto ‘Dizzy’ l’idea della vertigine che si porta dietro quel termine mi ha fatto modificare tutto all’ultimo istante. Ho pensato, infatti, che ‘vertiginoso’ fosse l’aggettivo giusto per un progetto che racchiude un po’ tutto il mio universo musicale, dal blues al country, un pizzico di jazz, ma anche metal, folk, hard rock. La vertigine è data proprio dal continuo cambio di generi e di ritmi. D’altronde sono sempre stato un grande consumatore di musica e nella mia discografia gli album di Buscaglione o Carosone convivono con quelli di Morricone o dei Sepultura. Da compositore penso di dover essere così e lasciare i paraocchi agli altri”.
Ogni brano del disco ha un suo riferimento?
“Sì. Ce n’è uno intitolato, ad esempio, ‘Terra Blues’ dal nome dell’omonimo locale di New York fondato da BB King e affacciato su Bleecker Street accanto ad un altro crocevia musicale obbligato del Village quale The Bitter End, sala da trecento posti dove negli anni Sessanta potevi ascoltare gente come Bob Dylan o Joan Baez”.
Bizzarrie di questo spettacolo?
“Una rivisitazione prog rock del tema di Hans Zimmer ‘He’s A Pirate’, dalla colonna sonora di ‘Pirati dei Caraibi’, attinta da ‘Cinematic’, primo album della serie No Vox, uscito in piena pandemia”.
Quest’anno l’avventura Litfiba compie 45 anni, anniversario che passerà sottotraccia o ha in preparazione qualcosa?
“Sono aperto a tutto, visto che i Litfiba sono stati una mia creazione. Il nome è di mia proprietà e sono pure l’unico membro della band ad essere rimasto sempre in formazione. Ho visto che Piero Pelù un tour celebrativo per i 35 anni di ‘El diablo’ se lo sta facendo da solo. Gli voglio un gran bene, ma non lo capisco. Per ragionarci sopra assieme, infatti, sarebbe bastato un colpo di telefono”.

Un altro progetto da mettere in strada prima o poi?
“S’era parlato con Gianni Maroccolo, altro ex Litfiba, di tornare a fare qualcosa assieme. Mi piacerebbe, perché è un grande artista che rispetto moltissimo. Io sono sempre stato un integralista, un talebano della musica per niente incline a compromessi, e col passare del tempo lo sto diventando sempre di più. Quindi, se con Gianni ci mettessimo assieme, non lo faremmo certo per incidere un singolo da mandare a Radio Deejay”.