GIAN MARCO WALCH
Cultura e Spettacoli

Gerusalemme Liberata... in milanese

Riecco, dopo quasi tre secoli, “la traduzione” di Domenico Balestrieri

Un'immagine che ricorda l’opera di Torquato Tasso

Milano, 4 gennaio 2019 - “Ohimè, il bel muso; ohimè, il soave sguardo; / ohimè, il leggiadro portamento snello; / ohimè lo gnavolar, che da l’ostello / fugando i sorci assicurava il lardo”: si fece le ossa poetiche con le prolisse ma pur colte, satiriche ma pur bonarie “Lagrime in morte di un gatto”, il suo, raccolta, uscita a Milano nel 1741 - e ora felicemente riproposta in libreria proprio da La Vita Felice -, cui invitò a partecipare i più noti letterati del suo tempo, il Baretti compreso. Ma non furono le facili e disinvolte variazioni sui temi obbligati che gli fruttavano anche protezioni e benefici da parte di generosi mecenati lombardi a impegnare a fondo l’ingegno di Domenico Balestrieri, poeta per vocazione, cancelliere per necessità: per ben diciassette anni, infatti, il mite pacioso galantuomo nato a Milano nel 1714 - vi morirà nel 1780 - attese alla traduzione “meneghina” della “Gerusalemme Liberata”. Traduzione, per modo di dire.

Al “suo” poema il Balestrieri diede il titolo, ben più preciso, di “la gerusalemme liberata travestita in lingua milanese”. lingua e non dialetto: se perde la moralità sin severa che gli aveva impresso un altro illustre poeta come carlo maria maggi, il milanese del balestrieri, figlio di una società briosa e amante della conversazione sciolta e disimpegnata, fissa vocaboli e ortografia che rimarranno pressoché immutati sino alle coraggiose esperienze del novecento. e travestita: la “gerusalemme” del balestrieri vede il suo accento spostato dall’originaria epica di torquato tasso al registro comico e realistico. non che la trama ne venga snaturata. “Canti la guera santa e ‘l Capitani, / c’ha liberaa el Sepolcher del Signor; / par reussin el n’ha passa de strani, / el g’ha impiegaa coo e brasc, struzi e sudor”: così, con precisione, inizia il testo settecentesco nel curatissimo volume edito ora da Ugo Guanda Editore, che ha fatta sua l’iniziativa della Fondazione Pietro Bembo.

Un volume da gustare lentamente, nelle sue oltre 1.300 pagine. Nei versi e nell’ampio commento di Felice Milani, già direttore della Biblioteca Civica Carlo Bonetta - Archivio Storico Civico di Pavia e autore di studi di letteratura lombarda fra ‘600 e ‘900. Un commento che, mentre non rinuncia a dettagli coltissimi magari sugli “aspetti ritmico-sintattici e metrici” di quel “travestimento”, ama soffermarsi sulle soluzioni lessicali che regalavano alle ottave una piacevole teatralità. Anche confrontandole con le precedenti versioni dialettali della stessa “Gerusalemme”: come la “rustica bergamasca” firmata nel 1670 dal “dottor Carlo Assonica”. Così l’ottava della rosa: il tenero “ecco poi langue, e non par quella” diviene un espressivo “guardeela poeù, quand la se slarga, e infin / guardee quand la deventa on grattacuu”. E poco ci importa che il Carducci stroncasse il lavoro appassionato del Balestrieri: «Ha dedicato moltissimi anni della sua vita di letterato a una stesura completamente inutile». Oggi chi più ha il coraggio di leggere il tronfio Giosuè?