ELVIRA CARELLA
Cultura e Spettacoli

Gerry Scotti, il manager mancato: “Sognavo gli Usa. Bocciato in Rai. Quando passo da piazzale Corvetto guardo ancora verso la finestra di mia mamma”

L’autobiografia del volto tv, 68 anni: “Sarei diventato un dirigente pubblicitario, Claudio Cecchetto mi fece cambiare idea”. Il giorno in cui calerà il sipario? “Sarò io a tirare il cordone. E mi dedicherò alla campagna”

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Gerry Scotti

Milano – “La vita ha scelto per me. Ho raccolto gli appunti di un uomo che ha provato a vivere. Probabilmente avrei potuto fare più esperienze, però non mi lamento”. A parlare è Gerry Scotti – nato Virginio, 68 anni, dna della campagna pavese sviluppato a Milano, popolarissimo conduttore televisivo, già deejay radiofonico, neo influencer sui social network, per tutti lo zio Gerry – che si è raccontato nel libro “Quella volta. Un viaggio nel passato di tutti noi” (Rizzoli).

Se dovesse ripercorrere una delle stagioni della vita?

“Direi alla Renato Zero, i migliori anni della nostra vita, i più divertenti, formativi: gli anni ‘80, periodo piuttosto bistrattato dai puristi. E forse a ragione: eravamo molto sfarzosi, chiassosi, indossavamo vestiti sgargianti, con le spalle larghe. Ma allora è stato prodotto tutto ciò di cui ora usufruiamo”.

Gli accadimenti della storia narrata rimasti più impressi?

“La tragedia dell’11 settembre 2001, a New York. Nulla è stato più come prima. Nel secolo scorso, invece, la strage di Piazza Fontana, a Milano. Ero uno dei ragazzini di periferia, che di sabato riceveva dalla mamma i soldi, per andare in centro a comprare le caldarroste. Milano era il paese dei balocchi per noi, figli della prima generazione del benessere. Era come vivere in un luna park”.

Cioè?

“Disponevamo di tutto: luminarie, tram che funzionavano, cinema… La strage del 12 dicembre 1969 ci riportò terribilmente con i piedi per terra. Smettemmo di essere ragazzini con i pantaloni corti e ci accorgemmo che la vita ci avrebbe, ahimè, riservato ben altre sorprese”.

Quella volta in cui ci ha messo il cuore…

“Avevo già pronto il biglietto per recarmi in America, da dove sarei tornato mega dirigente di un’agenzia pubblicitaria internazionale, ma ci rinunciai. Ascoltai i suggerimenti di Claudio Cecchetto, con cui feci Radio Deejay, forse il gesto più coraggioso della mia vita”.

Le prime volte in tv e la paura.

“Ho trascorso alcuni anni nello studiolo di DeeJay Television, in una sorta di sottoscala. La mia comfort zone consisteva nel far finta di fare la radio, mentre stavo facendo la tv. Poi arrivò il palco, fino a quello del Festivalbar all’Arena di Verona e, dopo quel battesimo, non ci fu più posto per la paura”.

Un aneddoto circa la tv?

“Quando mi dedicavo alla radio il regista Fosco Gasperi mi portò a Roma per consentirmi di partecipare a un programma musicale per la Rai. Ero convinto di aver superato la prova. Ma se per 40 anni ho lavorato solo a Mediaset è perché il provino, fatto “quella volta”, non è stato mai preso in considerazione”.

E su Milano?

“Quando giunsi in città, tutto mi sembrava impossibile: l’ascensore, il balcone, la vasca grande. In campagna, a due anni, la mamma mi lavava in un mastello, dove versava pentoloni di acqua calda. Ricordo, poi, che andai in Rinascente con lei, per scegliere il regalo di Natale, io che credevo ancora in Gesù Bambino. Non l’aiutai tanto. Ero attirato dalla scala mobile e le chiesi di andare più volte su e giù, finché fu ripresa da una guardia. E lei, molto per bene, ci rimase male”.

A ritorno da Mediaset, allunga la strada…

“Passo da piazzale Corvetto e mi soffermo con lo sguardo sulla finestra, da cui la mamma si affacciava chiamandomi Ginio per farmi finire i compiti o per mangiare pane, burro e marmellata. Il patto era che entro cinque minuti sarei dovuto salire”.

Da figlio a padre…

“Gli uomini non finiscono mai di imparare. Con la nascita di un figlio bisogna assumersi tante responsabilità. E, se il suo arrivo non cambia l’atteggiamento che si ha nei confronti della vita, non si sarà mai un buon padre. Edoardo mi ha anche aiutato a crescere”.

La situazione dei ragazzini a rischio social e telefonino.

“Quando i miei nipoti saranno adolescenti, spero che avranno trovato il modo di curare questa terribile malattia. Il telefonino, ahimè, insieme con i computer, i tablet e la tv stessa ti permettono di usare tante scorciatoie verso mondi, che non sono esattamente i migliori in cui un ragazzo possa crescere. I genitori dovrebbero prestare molta più attenzione nel guidarli, ma non sempre accade”.

La vita è un puzzle. Quale tassello le manca?

“Da bambino sognavo di andare su di un razzo e sono tornato dall’America su un Concorde; ho navigato nel Pacifico meridionale per circa 40 giorni. Ho avuto un figlio. Sono andato ben oltre le più rosee aspettative”.

Il giorno in cui calerà il sipario?

“Sarò io a tirare il cordone. Mi dedicherò alla campagna. E nel tempo restante, andrò a vivere al mare, il posto più bello del mondo, per me, nato in campagna e vissuto in città”.