
Il libro de Il Giorno di Gennaro Malgieri
MUSSOLINI sosteneva che il fascismo non era merce d’esportazione. Lo disse nel 1932 a Emil Ludwig che lo riportò nei famosi “Colloqui”, chiudendo una volta per tutte la disputa sulla possibilità di radicarlo in Germania: «Esso è un prodotto italiano», affermò perentoriamente. Tuttavia il Duce non ignorava che la sua creatura aveva suscitato imitazioni, qualche volta caricature, in tutt’Europa. Il fascismo, al di là della volontà del suo capo, insomma, era diventato per una molteplicità di ragioni, un “fenomeno continentale”. Ovunque sorsero movimenti riconducibili ad esso se non nelle strutture organizzative e nella sostanza ideologica, certamente nello “spirito” che li animava. I “fascismi sconosciuti”, guidati da “altri duci”, come li definisce Marco Fraquelli nel suo esaustivo e prezioso volume, pur diversi dal partito italiano, è innegabile che si ispirarono alla “rivoluzione delle camicie nere”, sostenuti non soltanto da ampio seguito popolare, ma anche da classi dirigenti influenti e da intellettuali non meno importanti. Ebbero l’appoggio, per esempio, di Hamsun e Pessoa, di Yeats e T.S.Eliot, di Eliade e Cioran, ma anche di un “insospettabile”, fino a poco tempo fa, Ionesco, di Drieu La Rochelle e Brasillach, di Pound e perfino di Ingmar Bergman. Tutti “tentati”, come avrebbe scritto lo storico Tarmo Kunnas, dal fascismo che ognuno degli “altri duci” interpretava a modo suo.
Anche se mai si costituì un’“internazionale fascista” (qualcuno ci provò, comunque), è indiscutibile, come dimostra Fraquelli, che tra il romeno Codreanu, lo spagnolo José Antonio Primo de Rivera, il britannico Mosley, il belga Degrelle, l’ungherese Szalasi, e tanti altri capi del “fascismo minore” vi fosse, su alcuni temi specifici, un comune sentire tra le due guerre, al punto che George Mosse, uno dei più autorevoli studiosi del tema, sostiene che quell’epoca è stata propria del fascismo a prescindere dalle declinazioni nazionali. Un movimento di reazione alla decadenza, teso al ripristino di una concezione tradizionale della vita coniugata con le istanze della modernità i cui leader erano profondamente dissimili per sensibilità e cultura: alcuni forniti di carisma indiscutibile, altri quinte colonne al soldo soprattutto della Germania nazista. Fraquelli s’inerpica sulle strade impervie della decifrazione di motivazioni e ragioni politiche e pre-politiche caratterizzanti i fascismi europei, allo scopo di trarre dall’oblio una storia tutt’altro che marginale per comprendere lo “spirito nazionalista” (su cui si sofferma Giorgio Galli nella sua illuminante prefazione) che può essere armonizzato nell’ambito del contesto europeo soltanto se non viene spinto fino alle estreme conseguenze dell’egoismo dei popoli e della distruzione della convivenza civile, pericolo quanto mai attuale.
MARCO FRAQUELLI, Altri Duci.
I fascismi europei tra le due guerre, Mursia