
Sono nudi gli attori nel nuovo spettacolo di Emma Dante
Milnao, 24 febbraio 2017- Corpi nudiI. Avvinghiati fra loro. Come a cercare un’ombra tiepida, un impossibile rifugio. Si aggirano stretti, massa informe e senza individualità. In circolo a espiare qualche strana colpa. Verrebbe subito da pensare a una (forte) metafora del teatro. E del mestiere d’attore. In realtà pare che Emma Dante sia andata verso altre direzioni con il suo «Bestie di scena», forse spinta prima di tutto da urgenze esistenziali. Dalla riflessione sul gruppo, la società omologata, le convenzioni impossibili da smantellare. Per quanta rabbia ci si possa mettere. Nuovo spettacolo per la regista siciliana, per la prima volta coprodotta dal Piccolo insieme alla sua Compagnia Sud Costa Occidentale, al Teatro Biondo di Palermo e al Festival di Avignone, dove arriverà quest’estate.
Intanto da martedì tre settimane sul prestigioso palcoscenico dello Strehler. Con la sua grandezza e la sua storia. Bella sfida. Che la Dante ha scelto di affrontare a gamba tesa, sviluppando il breve lavoro su un’immagine spigolosa. Che si presta alle più svariate letture. «In 'Bestie di scena' c’è una comunità in fuga – spiega la regista –. Come Adamo ed Eva cacciati dal paradiso, le bestie finiscono su un palcoscenico pieno d’insidie e di tentazioni, il luogo del peccato, il mondo terreno. Lì c’è tutto ciò che serve: la casa, la stanza dei giochi, l’odio, l’amore, il sentiero, il rifugio dove trovar riparo, la paura, il mare, il naufragio, la trincea, la tomba dove piangere i morti, i resti di una catastrofe… Le bestie di scena non fanno altro che immaginare. S’illudono di vivere, tenendo tra le mani oggetti in prestito, nutrendosi di poltiglie, farfugliando brandelli di storie. Come i bambini credono nei giochi e, alienati da tutto, se ne lasciano incantare fino agli eccessi della demenza». Viene un po’ in mente il vecchio «Idioti» di Lars Von Trier. Forse per un’affinità di gusto. Anche se in quel caso c’era un atto cosciente nell’agire distorto.
Qui invece i corpi compongono passivi una massa spersonalizzata, primitiva. Che accoglie ordini senza metterli in dubbio. All’interno di un inferno laico senza coordinate, dove tutto pare un simbolo. «Bestie di scena» ha assunto il suo vero significato nel momento in cui ho rinunciato al tema che avrei voluto trattare – conclude Emma Dante –. Volevo raccontare il lavoro dell’attore, la sua fatica, la sua necessità, il suo abbandono totale fino alla perdita della vergogna e alla fine mi sono ritrovata di fronte a una piccola comunità di esseri primitivi, spaesati, fragili. Un gruppo di «imbecilli» che, come gesto estremo, consegnano agli spettatori i loro vestiti sudati, rinunciando a tutto. Da questa rinuncia si è creata una strana atmosfera che non ci ha più lasciati e lo spettacolo si è generato da solo».