L'INIZIATIVA / Parole e pensieri ai tempi del coronavirus: "Piazze"

Hanno scritto per noi, tra gli altri, Andrea Bocelli, Giorgio Armani, Giovanni Malagò, Ettore Messina, Elio Franzini e Gianni Canova

Il drammaturgo, regista e attore Massimiliano Finazzer Flory

Il drammaturgo, regista e attore Massimiliano Finazzer Flory

Milano, 18 aprile 2020 - Una parola al giorno per trenta giorni, un mese di riflessioni e pensieri che andranno a costruire una "letteratura del ricordo". È l’invito che Massimiliano Finazzer Flory, regista e attore teatrale, lancia ai lettori in collaborazione con Il Giorno. Il drammaturgo propone una parola di stretta attualità legata al Covid-19, invitando i lettori a scrivere un breve pensiero (600-700 battute) in merito. Le riflessioni, da inviare all’indirizzo mail redazione.internet@ilgiorno.net, saranno pubblicate online e contribuiranno a costruire una memoria collettiva di com’erano la Lombardia e l’Italia ai tempi del coronavirus, accanto ai contributi che di giorno in giorno manderanno alcuni personaggi della cultura e dello spettacolo.

La parola odierna è PIAZZE. Fino ad ora hanno scritto per noi:Giorgio Armani, Andrea Bocelli, Salvatore Veca, Ornella Vanoni, Dan Peterson, Antonella Boralevi, Quirino Principe, Gabriele Lavia, Laura Valente, Maria Rita Parsi, Gianni Canova, Gianni Quillico, Silvia Pascale, Stefano Bruno Galli, Edoardo Zanon, Fabio Scotto, Gilda Bojardi, Ico Migliore, Marconcini Alberto, Roberta Pelachin, Rosario Pavia, Ettore Messina, Giovanni Gastel, Edoardo Boncinelli, Giulia Carli, Pino Farinotti, Stefano Boldorini, Alberto Mattioli, Alberto Uva, Alessandra Miorin, Roberto Cacciapaglia, Sabrina Sigon, Angelo Argento, Anna Maria Cisint, Ilaria Guidantoni, Ivano Giulio Parasacco, Lavinia Colonna Preti, Letizia Moratti, Massimo G. Cerutti, Paolo Del Brocco, Pierluigi Biondi, Jacopo Rampini, Roberto Zecchino, Carlo Robiglio, Salvatore Carrubba, Corrado Sforza Fogliani, Giulio Giorello, Lorenzo Maggi, Alessandro Daniele, Alberto Mingardi, Monica Stefinlongo, Cesare Balbo, Elena D'Incerti, Giuseppe Mojana, Giulia Malaspina, Marco Nereo Rotelli, Michela Lucenti, Silvano Petrosino, Alessandra Marzari, Ariane, Deborah Cocco, Filippo Del Corno, Michele, Alessandro Pancotti, Maria Giulia Comolli, Franco Masanti, Alessandro Gabrielli, Girolamo Sirchia, Santo Rullo, Alessandro Daniele, Dori Ghezzi, Katia da Ros, Antonio Francesco Pollice, Maria Pia Ciaccio, Red Canzian, Cristina Veronese, Barbara Dei Rossi, Paolo Coppo, Carolina Labadini Mosti, Spartaco Rizzo, Roberta Usardi, Claudio Formisano, Roberto Rinaldi, Alberto Marconcini, Ilaria Massi, Giuseppe, studente di filosofia all'università Vita-Salute San Raffaele, Cristina Settanni, Cristina Salvador, Carmen, Alex Salmini, Eugenio Astorino Tutoli, Sofia Aloi, Lory, Cristina Barletta, Rosanna Calò, Graziano Camanzi, Raffaella, Miriam Merlo, Clara Canna, Riccardo, Fabrizio Gramigni, Luciano Vacca, Giorgio Piccaia, Elio Franzini

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Le piazze: ma quali piazze?

Poche parole della lingua italiana hanno tante accezioni come la parola “piazza”. Oltre alla più scontata di luogo fisico spazioso, spesso all’incrocio tra più vie, mi divertono tutte le attività legate alla piazza. Si può urlare come se si fosse in piazza, si possono avere maniere da piazza, certamente è brutto mettere in piazza faccende private. Quando una relazione finisce si torna sulla piazza, si può osservare ciò che offre la piazza, e potrebbe esserci qualcuno intenzionato a rovinarci la piazza. Durante queste settimane, la piazza è stimolata da virologi, esperti, fake news e scelte politiche che rischiano di scatenare le reazioni della piazza. A volte verrebbe voglia di fare piazza pulita, per poi addormentarsi soddisfatti in un comodo letto a due piazze. L’accezione di piazza che preferisco è quella di agorà, la piazza principale della polis, il cuore pulsante della città, dove i filosofi ateniesi hanno posto le basi del pensiero filosofico occidentale. Ed oggi, nel momento in cui le nostre bellissime piazze sono chiuse, l’uomo, animale sociale, si riversa nelle numerose piazze virtuali, le proprie pagine social e le chat di gruppo diventano il proprio Speakers Corner, dove poter manifestare le proprie idee in libertà. Il moltiplicarsi delle app di video-chiamate di gruppo consente inoltre di apprezzare anche il linguaggio non verbale, che spesso pesa più delle parole. Ma le piazze e gli spazi più sconfinati – ed affascinanti - sono probabilmente quelli dentro di noi. Etty Hillesum, giovane ebrea poi morta ad Auschwitz, descrivendo la sua situazione di costretta in casa durante l’occupazione nazista, scrive nel suo diario nel 1942: “Trovo la vita tanto bella e mi sento così libera. Dentro di me si stendono cieli vasti come il firmamento”. Antoine De Saint-Exupery – in una delle frasi più celebri de “Il piccolo principe” - ci fa sognare ricordando che “Non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”. Sant’Agostino, ne “Le Confessioni” si rivolge a Dio esclamando: “Tu eri dentro di me, e io fuori. E là ti cercavo”. Chissà che queste settimane così inusuali non possano stimolare la curiosità di scoprire nuove piazze inesplorate dentro di noi. Ed è questo il mio personale desiderio.

Pier Paolo Bucalo, Adjunct Professor LUISS Business School

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Le piazze nel mio immaginario evocano un chiasmo, luogo di incontro e scambio e cuore simbolico: la piazza del paese che riuniva in sé l’essenziale della vita della comunità, il municipio e la chiesa, qualche volta la scuola, dove si svolgeva il mercato settimanale (da cui “aver credito in piazza”, “il dazio della piazza”) e le feste più rappresentative. Luoghi della forza centripeta nella storia generalmente protagoniste di grandi eventi, dalle rivoluzioni di ieri e di oggi (La Bastiglia o piazza Tahrir), alle adunate, basti pensare alla Roma di Piazza Venezia e il Duce, Piazza San Pietro simbolo di cristianità, e Piazza San Giovanni, sede di manifestazioni dei lavoratori e del Concertone del Primo Maggio. Le piazze sono il luogo di ritrovo degli adolescenti, dove ci si ritrova nei momenti di festa o ci si mostra. Ora sono vuote, desolate, con un senso di abbandono e insieme di potenza senza il rumore della vita. Voglio tornare a vederle riempirsi di bandiere, di musiche e giocolieri, di un via vai confuso, perché la piazza è il contenuto, non l’architettura. E solo in un’accezione rara entra in gioco con il suo vuoto: “far piazza pulita”, sgombrare in modo violento; “andare in piazza”, quando la calvizie avanza ed è sempre una desolazione.

Ilaria Guidantoni, giornalista e scrittrice del Mediterraneo

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Piazze vuote piazze piene. Piazze vive piazze morte. Piazze violente piazze aggreganti. Agorà antiche d’incontro discussione democrazia. Vociare scambiare trattare lavorare. Vivere vivere vivere con il femminile piazza nella città. E così sia! Senza volto o Virus viaggi sospeso e penetri con mani nel corpo singolo in assenza d’equilibrio e di pane e sempre in movimento aleggi nelle città e piazze deserte ti incontro a tutte le ore rubi la vita e fai scuola nella storia surreale e invisibile e paura  d’accoglienza tutto regoli e disponi di me di noi identificati svelati scopriti verso l’umanità e ti vinceremo con la ricerca e la partenza sarà senza rischio. Giorgio Piccaia, artista​

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Mi aggiro tra spazi urbani estranianti, scissi dall’uomo che li ha progettati. Scorgo segni architettonici metafisici, inquietanti, fissi nella loro imperturbabile indifferenza, minacciosi e non più familiari. I rintocchi delle campane amplificano lo stato d’angoscia mortifera. Quando, nella piazza deserta, un tempo destinata agli appuntamenti, sento il richiamo leggiadro degli zampillii d’acqua della Fontana della Pigna e mi sovviene Leonardo, l’immortale: “Fassi un’armonia con le diverse cadute d’acqua ...”. Questo immane vuoto, dunque, può portare a un nuovo umanesimo? E le città brulicheranno di una umanità rigenerata, tesa a ricercare nuovi equilibri tra cosmo e microcosmo, natura e cultura, bisogno e desiderio…

Grazia Summo

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Piazza Tevere

Piazza Tevere è una piazza di Roma che, dal punto di vista formale, toponomastico, non esiste ancora. Nasce come piazza da un’intuizione di Kristin Jones, artista americana, che con occhi nuovi seppe riconoscere nelle forme curvilinee del fiume un tratto regolare, un rettangolo perfetto assimilabile per dimensioni al Circo Massimo. La piazza si afferma nella città e nel mondo, con il fregio Triumph and Laments di William Kentridge che si sviluppa per 500 metri sui muraglioni del Tevere tra i ponti Sisto e Mazzini. Le grandi figure del fregio misurano, nella loro sequenza, lo spazio; raccontano sconfitte e vittorie, avanzamenti e regressioni, storie antiche e recenti, individuali e collettive. Il fregio sta ora scomparendo. La sparizione era prevista, incorporata nel progetto dell’opera, che nasceva con la sottrazione dello sporco depositato sulla superficie delle lastre di travertino del muraglione. Nel tempo sospeso della pandemia, questa sparizione rischia di svolgersi in solitudine, in uno spazio vuoto, senza testimoni, nel silenzio. Nelle piazze vere ci sono architetture e monumenti; qui solo figure effimere destinate a dissolversi, geometrie essenziali che inquadrano superfici di travertino e banchine in pietra, l’acqua in movimento e le nuvole che passano. Elementi artificiali e naturali immersi in una rappresentazione del tempo che scorre. L’arte di William Kentridge ha riscattato la marginalità di uno spazio fluviale prima in abbandono, ha animato le pareti inerti dei muraglioni, facendo emergere la domanda di una vera piazza pubblica, di un grande progetto di riqualificazione del fiume.

Rosario Pavia, AssociazioneTevereterno

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È sacrosanto diritto! Non vogliamo passar per ultime daremo mandato al sindacato Siamo state vostri pastori quando brucavate sparsi Vi abbiamo eretto Sapiens estraendovi dalle caverne Nel nostro petto avete imparato a pregare e a dibattere Ci avete trafitte in eccesso con i vostri scomodi tacchi Le geometrie perfette umiliate da volgari compromessi Noi Piazze siamo madri comprensive nonostante tutto amiamo il vostro vociare scomposto e la folle idea d’essere padroni le schermaglie tra Dio e Re Chiediamo solo meritato riposo un anno di sonnacchioso LETARGO senza alcuna cassa integrazione! Per poi risvegliarci d’incanto più belle e vitali di sempre. Stefano Boldorini​

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Se le strade sono le arterie delle città , va da sé le piazze ne sono il cuore . All'inizio , nella preistoria , la piazza trovava una radura abbastanza ampia e poneva al centro un fuoco ; pian piano gli uomini si sono avvicinati , ognuno portava qualcosa , ci si metteva a disposizione , ci si guardava per la prima volta negli occhi , una comunità si formava . Col tempo le esigenze sono aumentate , non bastavano più pochi sassi da seggio , gli spiazzi si sono allargati , son diventati rumorosi , colorati da numerosi banchetti di frutta , verdura , cibi , spezie , collane , stoffe ed attrezzi di tutte le sorte dando vita ai mercati , anima delle piazze . Ci si è accorti come era bello stare insieme , incontrarsi , confrontarsi , chiacchierare magari bevendo qualcosa , cosi' spesso si era nei pressi di una fontana , all'inizio semplice funzione pubblica , poi evoluta in autentiche opere d'arte a mostrare la magnificenza dell'amministrazione locale ...dove meglio mettersi in piazza ? Sulle piazze principali unitamente c'e' sempre una chiesa , le due da secoli ci stanno vicino , luoghi di vita per tutti , di tutti , hanno visto gli avvenimenti salienti , più grandi o più bui della storia dell'uomo , infatti attualmente è la quarantena che le coinvolge e le priva della loro natura . Ma è dalle piazze che riprenderemo il via , che sian le piccole corti interne ai palazzi , le aie in campagna , gli slarghi cittadini , nelle signore piazze celebreremo la fine del confinamento , il ritorno tra noi e da noi le piazze più belle del mondo si faranno trovare ancor più splendenti : il Duomo di Milano e la sua dolce Madonnina , San Marco a Venezia e le sue colombe di pace , Torino e la solenne Piazza Castello , San Pietro romano ancor più accogliente e la fresca Pretoria nella calda Palermo ... Se le strade son le arterie delle città , le piazze ne sono il cuore che ci guarirà . Anna Rosa

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Bussero (Milano), 18 aprile 2021 (Un anno dopo) Mi ricordo un anno fa quando il Papa , durante il rito del Venerdì santo, da solo saliva gli scalini, che lo portavano all’altare, allestito in piazza S.Pietro. Era una serata buia e piovosa. Giunto all’altare, iniziò la messa rivolto ad una piazza vuota, deserta, senza fedeli, che lo seguissero e pregassero insieme a lui. Nella piazza simbolo della cristianità risuonavano unicamente la voce del Papa ed il rumore della pioggia fitta che cadeva.  L’attacco di un virus invisibile, cinico e killer ci aveva relegati in casa. Una cerimonia religiosa di gran significato per i credenti poteva quindi essere partecipata solo a distanza, nelle nostre case, attraverso i mezzi televisivi. A quel tempo vedemmo molte altre piazze famose per le loro chiese, i loro edifici , la loro architettura, le loro fontane o i loro porticati frequentate solo da rari passanti, senza i turisti, che affollavano i tavolini dei bar o dei ristoranti, godendosi il cibo ed il panorama. La piazza, cioè il luogo di incontro, di saluto, di discussione per definizione, perse in quel periodo quel suo significato e quella sua funzione primaria. Era concesso di vederne questo nuovo aspetto innaturale di luogo silenzioso dai balconi dei palazzi circostanti o dalle immagini televisive dei droni, che controllavano il buon comportamento ed il rispetto delle regole di noi cittadini. Ad un anno di distanza, le piazze sono tornate a riempirsi. Sono però cambiate. Sono più ordinate, molto meno affollate. Vetrate trasparenti in plexigas distanziano e definiscono gli spazi per i tavolini dei bar. I pochi turisti stranieri, che hanno superato la paura indotta dal nostro trascorso poderoso contagio nazionale, sono serviti da gentili camerieri con la mascherina. Quando non vedremo più queste vetrate e queste mascherine potremo finalmente constatare che il malefico virus è stato sconfitto.

Roberto Rinaldi

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Come vorrei domani, dí di festa, arrivare in piazza Garibaldi, percorrendo le vasche che da via XX Settembre, passando dal Duomo, mi portano dentro in quello spiazzo pavimentato a nuovo, con tanti sampietrini, dove svetta la statua dell'eroe dei due mondi a cavallo, ma calcolo che sono più di 200 metri di distanza da casa e allora il mio pensiero va a quella bella camminata domenicale tra un caffè, un lumino acceso alla madonnina, un rossetto rosso comprato in una profumeria aperta, per poi felicemente far ritorno, mentre assaporo un gelato limone e liquirizia, magari incrociando sorrisi di volti ignari.

Giovanna, città di Crema 

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Quante piazze si incontrano che si aprono dalle strette vie degli anni

 

Quella piccola ma grande un tempo

Dei giochi a rincorrersi a cadere a sbattere le ginocchia sulla ghiaia

 

Quella dei moti giovanili

Coperta di striscioni

Dagli slogan accesi dalle volute passioni

 

Quella dei bimbi che la domenica corrono intorno

Cogliendo e scagliando l’aria della primavera

 

Quella grande sul mare

Silente e spopolata

Quella dove oggi senti solo il rumore dei tuoi passi

Stanchi e dell’onda azzurra che

Lenta si allontana.

Antonio Nocerino

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