
I Calibro 35: da sinistra, Massimo Martellotta (chitarra), Tommaso Colliva (produttore), Fabio Rondanini (batteria) ed Enrico Gabrielli (tastiere e fiati)
Milano – “Silenzio incisione”. La vecchia scritta luminosa rosseggia nello studio del compositore Piero Umiliani mentre i Calibro 35 si calano tra i fantasmi di Cinecittà annidati in quegli ambienti carichi di ricordi. Gli stessi inseguiti dalla band milanese in “Exploration”, l’album che presentano oggi pomeriggio (ore 18.30) alla Feltrinelli di piazza Piemonte in attesa dei concerti che, dopo il varo di qualche giorno fa sul palco del Franco Parenti nella cornice de La Milanesiana, li vede in tour dadomani. Se l’ep “Jazzploitation” pubblicato lo scorso ottobre era una “rapina nella banca del jazz”, per dirla senza perdere di vista l’immaginario poliziottesco anni Settanta a cui rimanda il nome che si sono scelti, “Exploration” allarga l’orizzonte di ricerca senza distrarre lo sguardo da quella musica afroamericana portata con tanta efficacia al cinema pure dalle colonne sonore di Umiliani. A parlarne è Enrico Gabrielli, fiati e tastiere, affiancato in studio e in scena da Massimo Martellotta, chitarra e sintetizzatori, e Fabio Rondanini, batteria. Produttore e “regista”, Tommaso Colliva.
Incidendo l’album, quanto vi siete sentiti addosso la storia dello studio di Umiliani?
“Noi siamo un collettivo e quindi lo studio è il nostro posto ideale, quello in cui funzioniamo meglio. I luoghi della musica, infatti, sono importanti a prescindere dal fatto tecnico. Usare certi strumenti, respirare la loro storia, è un valore aggiunto alla registrazione in sé”.
Umiliani metteva molto jazz nelle sue colonne sonore.
“Già, anche se la nostra parentela diretta è sempre stata col funk, con l’afrobeat, con l’afrosoul. Questo perché i Calibro quel tipo di suono, a cominciare dal ‘drumming’ di Rondanini, se lo portano nel Dna. Di funk ce n’era tanto, infatti, nelle colonne sonore dei film polizieschi all’italiana a cui ci siamo rifatti agli inizi, intente a cercare una loro strada nell’immaginario delle grandi band americane”.
“Gasman blues” di Umiliani è stata la prima colonna sonora jazz del cinema italiano. Uno dei brani da cui raccontate essere partita la vostra ricerca assieme a “Chameleon” di Herbie Hancock e “Nautilus” di Bob James.
“Siamo una formazione che il jazz lo fa ignorandolo. Il miglior sistema per approcciarlo in maniera disincantata, senza restare vincolati alla sacralità delle sue leggende e dei suoi miti. Se un brano di Miles Davis lo fai col flauto contralto invece che con la tromba, ad esempio, riesci a scartare di lato gravosi riferimenti. In una musica improvvisata come quella afroamericana, a mio avviso, la sacralità ha poco senso. Il jazz non può essere cerimoniale, gravato da troppi obblighi. In questo la pensiamo un po’ come i Lounge Lizards. Basta andarsi a riascoltare la ‘Harlem Nocturne’ di Earle Hagen riletta da John Laurie per capire cosa intendo dire”.
Progetti?
“Da due anni e mezzo siamo alle prese con la Rai per il remake di una grossa serie tv a tema storico, ma stiamo lavorando pure alle musiche della terza stagione tv di ‘Blanca’ e a quelle di una nuova serie Netflix. In agenda abbiamo pure la colonna sonora di un docufilm su un grandissimo personaggio della letteratura americana. Quindi ‘Exploration’ non è altro che la punta dell’iceberg e suonare Hancock ci allenta la pressione creativa che dobbiamo sopportare in questo momento. C’è da dire, però, che lavorare sulla musica da film ci ha fatto diventare molto bravi a conciliare quel che ci viene chiesto con quel che ci piace fare”.