
Edoardo Bennato
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E pensare che all’inizio sembrava quasi un gioco… “Bravi ragazzi” è un pezzo che Edoardo Bennato scrisse nel 1974, ma a riascoltarla bene sembra più figlia del lockdown (“ora non c’è più tempo per pensare / tutti dentro, chiusi ad aspettare”). “Edo” la compose quando si divideva tra Napoli e Milano per frequentare la facoltà di architettura del Politecnico, in ragione di quel pendolarismo che lo vede ancora spendere buona parte del suo tempo tra la casa di Bagnoli e quella in Viale Monza, e che oggi rilegge nel nuovo album “Non c’è”. “Ci ho messo dentro, forse esagerando, 23 brani” spiega il rocker partenopeo, 74 anni. “Otto sono inediti, mentre gli altri rivisitati con nuovi arrangiamenti e un bel sound”.
Che canzone era “Bravi ragazzi”? «Nell’animo era un pezzo punk. Dopo il mio primo, invendutissimo, album ‘Non farti cadere le braccia’, infatti, la Ricordi mi aveva licenziato. ‘Torni a studiare e si laurei’, mi disse, magnanimo, un direttore artistico dal grande fiuto. Così, armato solo di chitarra, tamburello, armonica e kazoo, mi piazzai in strada a suonare pezzi come quello. A Roma qualcuno della rivista Ciao 2001 mi portò a un festival alternativo a Civitanova Marche: c’erano Battiato, Lolli, Rocchi..».
Come andò? «Divenni mio malgrado una voce del disagio giovanile. In fondo ero pur sempre il figlio di un operaio di Bagnoli diventato dirigente dell’Italsider, anche se col partito non c’entravo nulla. Insomma, l’intellighentia di sinistra mi diede quella patente che discografici, radio e tv mi avevano negato. Così la Ricordi tornò sui suoi passi e accettò di farmi continuare la carriera».
La copertina “Non c’è” richiama la prima pagina di un quotidiano strizzando l’occhio ad altre del genere, a cominciare da “Some Time in New York City” di Lennon. «Già, una prima pagina che strilla titoli come ‘Salviamo il salvabile’, o ‘Bravi ragazzi’, ‘La verità’ che fanno un po’ lo specchio a questa Italia confusa e spaventata, in un’Europa confusa e spaventata, in un mondo confuso e spaventato».
Fra gli ospiti ci sono suo fratello Eugenio, Morgan, e Clementino con cui canta “L’uomo nero”. «Su questo pianeta non ci sono razze diverse ma una sola che si è modificata nel viaggio attraverso il tempo e le latitudini del pianeta. Con Clementino abbiamo giocato sull’immagine dell’uomo nero usata per metterci paura quando eravamo bambini. E che torna ora nella assurda e indecente paura dei migranti. Il razzismo è una malattia senile della decadenza occidentale, della nostra cronica incapacità di sanare i contrasti troppo stridenti tra Nord e Sud del mondo».