
Il 19enne Jacopo De Simone, 18 anni (a sinistra) è accusato dell'omicidio di Riccardo Claris, 26 anni
Bergamo – Vedendolo entrare in casa, la mamma di Jacopo De Simone aveva già capito tutto. Aveva intuito la situazione di pericolo. E infatti aveva nascosto i coltelli che c’erano nell’abitazione in via Ghirardelli, prima di scendere in strada e affrontare il gruppetto rivale per allontanarlo. Ed è in questa fase che avviene l’omicidio, sfociato per il diverbio legato al tifo calcistico.

De Simone, 18 anni (il gip ha convalidato l’arresto in carcere, a Brescia, per omicidio volontario aggravato da futili motivi) è armato, sferra un fendente “da abbraccio” alla vittima (come confermato dall’autopsia). Riccardo ‘Ricky’ Claris, 26 anni, cade a terra: i soccorritori provano a salvarlo ma inutilmente. È la coda finale di un sabato notte in città finito nel sangue, uno scontro tra due gruppi di tifosi rivali: l’inseguimento fino all’abitazione dell’indagato e l’omicidio.

Ha raccontato nell’interrogatorio di “aver agito per difendere la sua casa, la sua famiglia, da una mandria di animali: mi fanno schifo, li ucciderei tutti". Lo stimolo esterno – scrive il giudice – che ha portato al successivo accoltellamento “appare sproporzionato rispetto alla gravità del fatto, insufficiente a provocare l’azione criminosa". Ma per capire come ci si è arrivati occorre fare un salto indietro, anche se la ricostruzione dei fatti deve essere ultimata.
De Simone si trova al Reef Cafe di via Borgo Santa Caterina (non distante dallo stadio) in compagnia di sette amici, tra cui il fratello gemello Valerio, e la sua ragazza. De Simone esce a fumare una sigaretta con un amico e intona un coro calcistico per l’Inter. L’indagato non è un abituale frequentatore dello stadio. Il locale è ritrovo di simpatizzanti dell’Atalanta.

La provocazione. “Qua siamo a Bergamo, tu non puoi fare cose. Brutta testa di c…”: a dire quelle frasi c’è anche la vittima, secondo la versione dell’indagato. come scrive il giudice, che l’innesco della vicenda “sia da individuare in uno sgarbo o in una discussione correlata alla diversa squadra sostenuta dai due gruppi (non tifoserie organizzate)” trova riscontro nel fatto che “alcuni testimoni avevano udito insulti del tipo: “Interisti di merda, sporco, maledetto interista”.
Gli animi si accendono, il gruppetto composto da De Simone, il fratello Valerio e gli altri lascia il bar per dirigersi verso casa. In via dei Celestini si accorgono che il gruppo di atalantini (composto da una ventina di ragazzi) descritto dall’indagato come una “mandria di animali” li sta inseguendo; alcuni di loro, ha riferito il 18enne, avevano in mano catene e spranghe che facevano risuonare contro i pali della luce minacciando di morte. Un punto che allo stato non trova ancora conferma e riscontro.
De Simone e suoi amici iniziano a correre verso casa, in via Ghirardelli, ma suo fratello e la ragazza, e un’altra coppia, rimangono attardati. Lui e altri quattro raggiungono l’abitazione. In casa c’è la mamma di Jacopo. Lui le racconta quanto è capitato e chiede del fratello. La madre era già scesa in strada per affrontare il gruppetto di tifosi. Il 18enne ridiscende, trova la mamma che discute con i “rivali”, De Simone urla ai ragazzi di andarsene; alcuni, però, tra cui la vittima, si avvicinano al 18enne, brandendo - secondo il suo racconto – una catena.
La vittima proverebbe a colpire De Simone, lui schiva i colpi e in quel momento estrae il coltello e colpisce Riccardo Claris, che cade a terra. L’indagato scappa, scavalca il cancello di casa dove incontra di nuovo il fratello e la fidanzata con i quali risale in casa. Incrocia la madre che lo vede sporco di sangue e le dice quello che era successo: troppo tardi.