Vertenza Uber Eats, il primo accordo: indennizzo di 3.500 euro al rider per chiudere la partita

Conciliazione pilota nella valanga di ricorsi individuali a Milano: il fattorino licenziato ha accettato l’offerta, si valutano altri casi. La partita più ampia è ancora da giocare: 4mila ancora nel limbo

Un rider Uber Eats

Un rider Uber Eats

Milano – Il primo accordo davanti al Tribunale del Lavoro di Milano, nella valanga di ricorsi individuali da parte di rider ‘licenziati’ da Uber Eats, è stato trovato. La piattaforma statunitense, che ha lasciato l’Italia, verserà al fattorino circa 3.500 euro a titolo di indennizzo, chiudendo così la singola vertenza.

Sono ancora in fase di giudizio altri 25 ricorsi, promossi sempre dalla Nidil-Cgil di Milano, ai quali si sommano le cause portate avanti da rider che si sono rivolti ad altri sindacati. La prima conciliazione, quindi, potrebbe aprire la strada a una serie di altre proposte di indennizzo, mettendo sul tavolo somme per chiudere i contenziosi finiti davanti al Tribunale, dopo la doppia sconfitta di Uber Eats in primo e in secondo grado che scrive un nuovo capitolo sul fronte dei diritti nella giungla del delivery. Una battaglia avviata dalla Cgil quando la piattaforma ha chiuso l’attività in Italia lo scorso giugno, per concentrarsi su mercati più redditizi, lasciando a casa da un giorno all’altro circa quattromila fattorini inquadrati come lavoratori autonomi. Multinazionale che, di fatto, è stata costretta a scendere a patti dai sindacati e dalla giustizia italiana.

Accogliendo il ricorso della Cgil, il Tribunale del Lavoro di Milano aveva stabilito il carattere antisindacale della condotta di Uber Eats Italy. Non poteva disconnettere dalla piattaforma i ciclofattorini senza prima avviare con le organizzazioni sindacali le procedure di informativa e confronto previste in caso di delocalizzazione, rafforzate anche dalle norme varate nel 2021 che puntano a rendere più difficile la strada per le imprese che se ne vanno dall’Italia lasciando a casa i dipendenti. Dai giudici milanesi è arrivato, a marzo, un nuovo punto a favore della Cgil, nel lungo braccio di ferro: è stato respinto infatti l’appello di Uber Eats contro la sentenza di primo grado. Il giudice ha nuovamente imposto al colosso del food delivery di ripristinare le condizioni lavorative e di avviare un serio e fattivo confronto che consenta ai rider di accedere agli ammortizzatori sociali che sono stati loro negati. Sebbene i rider siano inquadrati come collaboratori autonomi, secondo la lettura dei giudici sono di fatto dipendenti, quindi rientrano nella procedura del licenziamento collettivo, oltre che negli obblighi previsti in caso di delocalizzazione. La società, quindi, deve mettere in campo un piano di sostegno, che deve essere vagliato da sindacati e ministero.

I rider, formalmente reintegrati per effetto delle sentenze, si trovano ancora in un limbo: senza lavoro e senza stipendio, perché l’attività in Italia non esiste più. Alcuni stanno pedalando per altre piattaforme, altri hanno cambiato impiego, altri ancora hanno lasciato l’Italia. Pendono inoltre due class action presentate dalla Cgil, che chiede a Uber passi concreti e il rispetto delle sentenze. In questo contesto si inserisce la partita parallela dei ricorsi individuali avviati dai rider che, nei giorni scorsi, ha visto il raggiungimento del primo accordo. Il fattorino lasciato a casa ha accettato quindi l’offerta di circa 3.500 euro, rinunciando così a ulteriori richieste. Per altri rider le somme messe sul tavolo potrebbero essere più alte o più basse, valutando caso per caso.

In questa partita si sarebbe inserita anche l’Ugl, sindacato allineato alle piattaforme (in passato fu firmatario con Assodelivery del contratto collettivo definito ‘pirata’ dalle altre sigle), che si sarebbe mosso per promuovere conciliazioni fuori dalle aule del Tribunale con Uber Eats, che spinge per chiudere in fretta i conti e poter lasciare l’Italia senza strascichi.

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