ANDREA SPINELLI
Cronaca

Milano, Veronica Pivetti a teatro: "La mia Viktoria, simbolo di libertà"

Era il 10 maggio del 1933 quando la Germania in camicia bruna mandava in scena il primo dei suoi grandi spettacoli

Veronica Pivetti sul palco

Milano, 18 marzo 2019 - Era il 10 maggio del 1933 quando la Germania in camicia bruna mandava in scena il primo dei suoi grandi spettacoli, la “Bücherverbrennungen”, l’ “olocausto di libri”, come lo definì Newsweek, messo in piedi dall’Associazione degli studenti tedeschi all’Opernplatz di Berlino per ridurre in cenere il pensiero “eversivo”.

Viktor und Viktoria”, la commedia diretta da Emanuele Gamba che vede in scena Veronica Pivetti al Teatro Nuovo fino al 24 marzo, finisce in quella notte di paura. Eppure in sala si ride, anche parecchio, grazie al genio di Reinhold Schünzel e alla sua commedia degli equivoci, portata sul grande schermo nel 1933, a cui lo spettacolo s’ispira molto liberamente.

Signora Pivetti, perché avete puntato sul film di Schünzel e non sul popolarissimo remake cinematografico fatto da Blake Edwards dell’82?

«Perché ci piaceva l’idea di raccontare il crepuscolo della Repubblica di Weimar nel suo luogo simbolo: Berlino, la cornice inevitabile per raccontare la fine di un’epoca caratterizzata da grande libertà artistica, sessuale, di costumi, su cui si allunga l’ombra nera del nazismo».

In cosa ‘Viktor und Viktoria’ differisce da “Victor Victoria”?

«La nostra vicenda, così come quella raccontata dal film interpretato nel ’33 da Renate Müller, è ambientata in Germania, mentre il remake di Edwards a Parigi. Volevamo stare più vicini all’intenzione originaria del lavoro che alla sua evoluzione in, irresistibile, commedia hollywoodiana. Mi piaceva anche l’idea di rendere omaggio a Schünzel, duramente discriminato al tempo in patria perché figlio di madre ebrea».

Che modifiche avete apportato al testo originale?

«Di ‘Viktor und Viktoria’ non esisteva un testo, esisteva solo il film del ‘33 a cui poi si sono poi ispirati i remake cinematografici di Karl Anton del ‘57 e di Blake Edwards dell’82 con Julie Andrews. Tredici anni dopo, il regista americano ne ha tratto pure un fortunatissimo musical, interpretato sempre dalla moglie. Il testo l’ha scritto, appositamente per questo lavoro, l’autrice Giovanna Gra creando tutta una serie di personaggi che nel film non esistono o hanno connotazioni diverse».

C’è qualche legame con “Né Giulietta né Romeo”, sua primo film da regista legato a doppio filo ai temi dell’omosessualità?

«Sì, l’essere un inno all’assenza di pregiudizi; ti amo, fregandomene delle distinzioni di genere. Anche se, nonostante il gioco di specchi, qui ci sono solo amori eterosessuali».

La lettura è molto attuale.

«Beh, sì. La Gra, ad esempio, s’è inventata il personaggio di Gerhardt, interpretato in scena da Nicola Sorrenti, che, parlando del rogo dei libri, dice ‘all’Opernplatz 40 mila followers…’ unendo passato e presente quasi a ricordare: se tutto questo è successo, facciamo in modo che non accada di nuovo».

I 200mila della marcia antirazzista di due settimane fa dicono che a Milano questi sono valori condivisi.

«Avrei voluto esserci pure io in piazza. A Roma sto benissimo, ma amo pazzamente la mia città natale, che trovo consapevole, ben amministrata, estremamente evoluta».