
L’evento della Bocconi, a caccia di talenti a Boston (foto Friends of Bocconi University)
Milano, 9 aprile 2025 – Sono in aumento gli studenti statunitensi che scelgono gli atenei milanesi: Bocconi, Cattolica e Politecnico in testa. Se è ancora presto per cogliere un “effetto Trump“, l’annuncio di tagli e strette alle università americane potrebbe aprire nuovi scenari insieme al rilancio di alcuni atenei europei, già pronti a offrire “asilo scientifico a ricercatori, docenti e studenti in fuga”. Milano può diventare una destinazione? In parte lo è già e si intravedono segnali anche nelle domande per il prossimo anno accademico o per le summer school, spesso “banco di prova”.
La crescita più evidente è in Bocconi, dove per i corsi di laurea triennali, rispetto al 2019/20 le lettere di candidatura dagli Usa sono cresciute del 125,8%, che diventa + 211% se si guarda tra le application per il prossimo anno accademico (confrontandole sempre a quello preCovid). E i dati sono ancora provvisori. Sono 672 gli studenti americani che oggi frequentano le aule di via Sarfatti. E sono aumentati anche i ragazzi delle “high school“ (le superiori) che scelgono di raggiungerle per la summer school: erano 35 nel 2019/20, sono diventati 164.
Anche il Politecnico di Milano sta attraendo molto di più anche se i numeri sono più contenuti: rispetto a cinque anni fa gli studenti statunitensi sono passati da 45 a 70. E a loro si aggiungono gli studenti “Exchange“, che arrivano con reti e accordi bilaterali (sono attivi 14 accordi bilaterali con università americane): erano 44 gli “incoming“ nel 2019/20, sono 66 oggi (e ci sono ancora arrivi all’orizzonte). Cresce Cattolica che aveva 18 studenti iscritti nei corsi di laurea milanesi cinque anni fa e oggi ne conta 49. A questi si aggiungono 400 studenti americani in mobilità tra scambi semestrali e corsi estivi. E cresce la popolazione americana anche nel campus dell’Humanitas University di Rozzano, che passa in cinque anni da 18 a 44.
“Milano è diventata più attrattiva”, conferma Gianluca Valenti, delegato della rettrice del Politecnico per i rapporti internazionali con il Nord America. A monte “una sovrapposizione di situazioni”, spiega: “Da una parte c’è la geopolitica mondiale: se fino a pochi anni fa gli Stati Uniti guardavano più all’Asia, con Biden erano tornati a dialogare molto di più con l’Europa, che ha recuperato interesse negli Usa, anche se negli ultimi mesi c’è stato un rallentamento”.
Dall’altro lato della stessa medaglia c’è l’attrattività dell’Italia, “sempre molto apprezzata dagli americani per turismo, moda, cibo, creatività e accoglienza”, continua Valenti. A questo si aggiunge la riscoperta della “destinazione Milano” : “Da sempre forte nella moda, in crescita col turismo e anche Milano-Cortina 2026 sta già avendo un suo impatto”.
È in questo quadro che si muovono gli atenei: “Sono molto quotati, ben strutturati e hanno aperto canali con uffici che curano di più i rapporti internazionali e che coinvolgono anche i professori”. Il Politecnico ha una decina di delegati della rettrice dedicati a ogni singola area, per favorire la crescita di scambi e rapporti. “I primi risultati si vedono anche negli Usa: abbiamo quasi raddoppiato gli studenti in arrivo”. Quali potranno essere gli scenari futuri? “Dall’ultimo viaggio ho portato a casa un po’ di timore da parte di colleghi oltreoceano in alcuni settori della ricerca che potrebbero vedere una riduzione di finanziamenti, non in quelli ritenuti strategici dall’amministrazione Trump come l’Intelligenza artificiale, per esempio – spiega Valenti –. I primi effetti si vedranno non nello spostamento di studenti ma di ricercatori e post-doc, abbiamo già ricevuto richieste di informazioni sulle posizioni aperte. Stanno guardando altrove ma non c’è un fuggi-fuggi e non ci sarà in tutti i settori”. Gli atenei milanesi hanno una sfida all’orizzonte: “Dobbiamo attrezzarci per essere più attrattivi, in termini di infrastrutture di ricerca e servizi”.