ETTORE SALADINI
Cronaca

Una bimba ebrea di Milano in fuga dall’orrore. Bruna Cases, tutta la paura in un diario. “Gaza? Non è genocidio”

Nel 1943 si rifugiò con la famiglia in Svizzera per salvarsi la vita. Sulle scelta di disertare la cerimonia a Palazzo Marino: “Sono contro Netanyahu, ma l’Anpi sbaglia”

Bruna Cases trovò rifugio in Svizzera assieme alla famiglia e si salvarono

Bruna Cases trovò rifugio in Svizzera assieme alla famiglia e si salvarono

Milano, 26 gennaio 2025 – Bruna Cases è una bambina milanese di nove anni quando, nel 1943, è costretta ad affrontare un viaggio per sfuggire alla Shoah. Con sua madre e le sue sorelle, supera il confine con la Svizzera, affidando le sue memorie a pezzettini di carta, poi raccolti in un diario una volta arrivata a Lugano. Oggi, ha novant’anni e vive a Milano. Quando racconta la sua storia, lo fa con forza e fermezza, ma, in alcuni momenti, un lieve tremolio tradisce l’intensità dei ricordi.

Quand’è cambiata la sua vita?

“Nel 1943, dopo l’armistizio, quando diventa chiaro che dobbiamo scappare. In quel momento, da bambina che giocava con le bambole, leggeva e non aveva altre preoccupazioni, mi sono accorta che la storia si occupava di me personalmente. Certo, i segnali c’erano stati anche prima. Al tempo delle Leggi Razziali, nel 1938, avevo solo quattro anni, ma ricordo bene le ingiustizie subite in famiglia”.

Come avete fatto a fuggire?

“Papà era riuscito a entrare in Svizzera insieme alla nonna, perché accettavano una persona anziana accompagnata. Una volta lì, pensava di poterci aiutare. Ma non è stato possibile. Allora, io, mia mamma e le mie sorelle abbiamo dovuto trovare un altro modo. Dei nostri amici di Varese, a cui ancora oggi dobbiamo la vita, hanno trovato dei contrabbandieri per noi”.

So che quando vide il mezzo dei contrabbandieri rimase delusa.

“Sì (ride, ndr), era un furgoncino chiuso e sono rimasta molto delusa. Questo perché ci avevano promesso una bella macchina. Anche se mio padre era avvocato, infatti, non avevo mai occasione di salire su una macchina. Ero solo una bambina”.

E in quel momento inizia il viaggio.

“Sì, e con lui la paura. Il furgoncino si ferma improvvisamente. Pensavamo fossero i tedeschi o i fascisti. Mi batteva il cuore. Invece, erano altri ebrei. In totale eravamo undici. Poi, ci hanno lasciato in una cascina vicino al confine e abbiamo aspettato per quattro giorni”.

Bruna in un'immagine d'epoca da bambina
Cases in un'immagine d'epoca da bambina

Da cosa nasce il bisogno di scrivere un diario?

“Ho pensato che quello che stavo passando fosse una storia straordinaria, che non tutti i bambini avrebbero potuto vivere. Appena ho avuto un foglietto, ho scritto le mie prime impressioni. Poi, una volta a Lugano, mi hanno dato un quaderno vero e lì ho trascritto tutto”.

Dalla cascina come avete proseguito?

“A piedi. Seguivamo i contrabbandieri in silenzio. Prima per campi arati, poi nel bosco. Arrivati alla frontiera, hanno tagliato la rete. Abbiamo strisciato, con la paura di toccarla, perché in cima c’erano dei campanelli che avrebbero fatto scattare un allarme”.

Qual è stato il momento in cui ha avuto più paura?

“Tanti. Sicuramente, però, uno dei più brutti è stato dopo aver passato il confine. Anche se già in Svizzera, dovevamo arrivare al comando senza farci scoprire. D’un tratto, si avvicina un gruppo di soldati. Ci siamo acquattati nella boscaglia. Non sapremo mai se non ci hanno visto o se hanno fatto finta di non vederci”.

Siete stati tutti accolti come rifugiati?

“Noi sì. Altri tre fratelli che erano in viaggio con noi, invece, vennero respinti e, poco dopo, deportati ad Auschwitz. È una cosa che mi ha segnato profondamente e che porto ancora oggi dentro”.

Quando è tornata in Italia?

“Nell’agosto del 1945. Io e mia nonna siamo tornate con un treno della Croce Rossa. Appena vista Chiasso ero così felice. Ma veramente così felice che non so descriverlo”.

Tornando a oggi, cosa pensa della scelta della Comunità Ebraica di Milano di non partecipare all’incontro del 27 gennaio per via dell’Anpi?

“Penso che la Comunità Ebraica di Milano dovrebbe intervenire alla cerimonia a Palazzo Marino. È un’occasione per parlare agli studenti e deve essere colta per far conoscere la voce ebraica ai più giovani. Non nego, però, che sono molto amareggiata dalla posizione presa dall’Anpi negli ultimi tempi”.

Si riferisce all’uso della parola “genocidio” per descrivere la guerra a Gaza?

“Sì. Sono nettamente contraria alle politiche di Netanyahu e del suo governo. Ma non posso accettare che Israele venga accusato di genocidio, perché la parola prevede l’intenzione di sterminare un popolo intero. E non è ciò che vogliono gli israeliani”.