GIULIA BONEZZI
Cronaca

Christian Di Martino salvato dal trauma team del Niguarda, la responsabile: "Milano è cambiata, coltellate o armi da fuoco in un caso su 5"

Stefania Cimbanassi era in turno quando è arrivato al pronto soccorso il viceispettore accoltellato a Lambrate. "Il giovedì è diventato il nuovo sabato sera, molti abusano di sostanze"

Il viceispettore Christian Di Martino, accoltellato a Lambrate, dopo una settimana nella terapia intensiva del Niguarda è stato trasferito nel reparto di Chirurgia del Trauma Team che l’aveva operato. «Sta reagendo molto bene dopo una prima fase estremamente critica; ha una fibra forte», dice il professor Roberto Fumagalli, primario di Anestesia e rianimazione, e ricorda che l’intervento è stato «molto grosso» e il 35 enne ha avuto bisogno di «circa 50 trasfusioni di sangue, 40 di plasma più altri emoderivati». Scorte non disponibili all’impronta in qualunque ospedale, ma al Niguarda che ha un Trauma Center sì, chiarisce Silvano Rossini, direttore della Medicina trasfusionale: «Il sangue non ha alternative farmacologiche, e prima inizia la terapia trasfusionale migliore è l’esito». Ieri 70 donne e uomini, metà poliziotti, metà tra vigili e altre forze dell’ordine hanno donato al Niguarda circa 60 sacche, il suo fabbisogno quotidiano: «Un gesto emblematico, dare il sangue dove lo abbiamo trovato», dice il questore Giuseppe Petronzi. «Una bella pagina – aggiunge il prefetto Claudio Sgaraglia –, per ringraziare l’ospedale che ha fatto cose enormi per un ragazzo che ha servito lo Stato». 

Il viceispettore Christian Di Martino adesso è ricoverato nel reparto di Chirurgia generale del Trauma Team che lei dirige, e gli ci vorrà tempo per recuperare, ricominciare ad alimentarsi e poter tornare "a casa dalla sua famiglia, e poi alla sua famiglia d’adozione", la polizia. Perché il paziente, "molto reattivo, spigliato, simpatico, è estremamente desideroso di tornare al lavoro", assicura Stefania Cimbanassi, 51 anni, professoressa associata di Chirurgia al dipartimento di Fisiopatologia medico chirurgica e dei trapianti della Statale ma soprattutto responsabile del Trauma Team del Niguarda. Che ha visto nascere: è arrivata da specializzanda nel 2002, seguendo Osvaldo Chiara che l’ha fondato e quando è andato in pensione, a novembre 2023, le redini le ha prese lei. "All’inizio eravamo solo lui e io. Oggi ho la fortuna di coordinare un gruppo di nove persone, l’età media è 36 anni e la metà sono donne.

La chirurgia italiana sta cambiando: il 50% di chi s’iscrive alla specialistica in Chirurgia generale è femmina, molte sono attratte dalla chirurgia d’urgenza e chiedono di venire a formarsi qui". Al Trauma Team del Niguarda, "l’unico in Italia a conduzione chirurgica" (gli altri sono guidati da un anestesista), che gestisce ogni anno circa ottocento traumi maggiori provocati da incidenti o violenza. Come le coltellate che avevano ridotto in fin di vita il poliziotto 35 enne alla stazione di Lambrate.

Giovedì notte ad aspettarlo c’era Cimbanassi, nella shock room del pronto soccorso del Niguarda dove, quando suona il cicalino, il capoturno si precipita e richiama i colleghi del team dai reparti, ambulatori o pronto soccorso in cui stanno lavorando, oltre ad altri specialisti (come ortopedici o neurochirurghi) a seconda delle necessità. La shock room: 25 metri quadri allestiti sul modello che Chiara importò da Baltimora, una sala operatoria a tutti gli effetti ("Alcune manovre salvavita vengono eseguite qui") dove ogni cosa è pensata intorno al paziente: dal materasso con maniglie all’apparecchiatura per le radiografie, dall’ampiezza della porta al frigo con le sacche di sangue 0 negativo e positivo per le trasfusioni "urgentissime", fino alla lavagna in cui l’équipe multidisciplinare segna i parametri vitali trasmessi dai soccorritori mentre studia la strategia in attesa del paziente. Che qui rimane al massimo 15 minuti ("Il minimo storico è stato sette"), poi passa alla Tac o direttamente in sala operatoria.

Professoressa Cimbanassi, lei ha coordinato gli specialisti che hanno operato Di Martino. Quanto è durata l’operazione?

"Circa cinque ore nella fase centrale. È stato un intervento in emergenza complicato dalla gravità delle lesioni ad elevato rischio di mortalità, in particolare quella della vena cava (il grande vaso che drena il sangue di ritorno dal cuore, ndr ). Siamo riusciti a controllarle con il supporto dei colleghi anestesisti e del centro trasfusionale. Abbiamo temuto per la sua sopravvivenza, sia durante l’intervento che subito dopo, ma Christian in terapia intensiva si è stabilizzato e abbiamo iniziato, cautamente, a sperare. Il tempo ci ha dato ragione".

Il Trauma Team gestisce più di due traumi maggiori al giorno.

"In media. Nella bella stagione aumentano gli incidenti, soprattutto in moto; nella giornata, le fasce più critiche sono quelle di maggior traffico, la mattina e intorno alle 18. E poi la notte".

Nel weekend?

"Non solo: il giovedì è diventato il nuovo sabato sera, e purtroppo la maggior parte delle persone che arrivano qui sono intossicate da sostanze d’abuso. Ma ci sono anche molti accoltellamenti: Milano è cambiata molto in questi vent’anni. Nei primi anni Duemila i traumi penetranti, da arma bianca o da fuoco, erano circa il 2% di tutti quelli che trattavamo. Oggi sono il 18%".

È cambiato tanto anche il vostro lavoro?

"Siamo addestrati, il nostro iter formativo prevede corsi continui a livello internazionale. La chirurgia d’urgenza ha un’elevata dose d’imprevedibilità, ma non si improvvisa nulla. Però, dopo 25 anni, il mio lavoro mi emoziona ancora".

Un episodio che l’ha segnata?

"Il primo grande trauma gestito con Chiara: 20 dicembre 2002. Una ragazza di 15 anni, in bicicletta, investita da un autoarticolato. Lesioni gravissime, per due giorni non siamo stati sicuri di salvarla e la stavamo salvando consapevoli dei deficit che le sarebbero rimasti. E invece, dopo infiniti mesi di riabilitazione e molti interventi, la ragazza è tornata a camminare. Si è sposata, e ha avuto una bellissima bambina: quando ce l’ha portata è stata una grande emozione. Ce ne sono state anche tante brutte: quando perdi una persona sempre, e soprattutto se è molto giovane; quando devi comunicarlo ai famigliari. A lungo c’è stata scarsa attenzione a questo aspetto: bisogna parlare, tirare fuori le emozioni, anche negative. Ora i nostri colleghi della Psicologia clinica ci aiutano ma c’è ancora un po’ di ritrosia a sfogarsi. Invece è l’unico modo di ricaricarsi".

Che ha fatto per ricaricarsi dopo l’intervento a Di Martino?

"Sono tornata a casa alle 8 di sera. E mi sono messa a leggere".

Cosa?

"Un saggio su Isabella D’Este".