
Renato Briano era sulla carrozza della metropolitana il 12 novembre 1980, quando gli spararono alla testa tra la folla. "Non vi preoccupate, era uno sfruttatore", disse ai passeggeri Sergio Tornaghi insieme a un altro brigatista. Tornaghi è uno dei sei terroristi che ieri mattina è stato arrestato in Francia.
Briano era il direttore del personale di tutta l’Ercole Marelli, 6mila dipendenti nella Sesto ancora Stalingrado d’Italia. Era stato protagonista di una lunga trattativa, che si era chiusa con un accordo che i sindacati definirono "molto buono". "Dopo tutti questi anni, allora, non avevano lasciato perdere – ha commentato commossa la cugina Angela Briano, 88 anni, che vive a Genova –. Siamo cresciuti insieme, da ragazzi andavamo a ballare. Poi lui si trasferì a Milano. È passato così tanto tempo, sono felice".
Tornaghi, come esponente della colonna Walter Alasia (dal nome del brigatista 20enne di Sesto San Giovanni) è stato accusato di partecipazione a banda armata e concorso nell’uccisione del direttore del Policlinico di Milano Luigi Marangoni e del maresciallo Di Cataldo e pure della gambizzazione di Indro Montanelli. Dovrà scontare l’ergastolo. "Giustizia sia fatta dopo tutte condanne che già erano state pronunciate dai tribunali. Ciclicamente sentiamo dire “Ma sono passati decenni, sono storie vecchie’’. Voler spazzare via storia e sofferenza a noi familiari delle vittime non sta bene". A parlare è Maurizio Campagna, responsabile Aiviter Lombardia e fratello di Andrea, l’agente ucciso da Cesare Battisti 42 anni fa. "Meglio tardi che mai. Le nostre morti e quel clima non possono essere condonate. Vittime come Briano erano persone normali, non facevano parte di organi dello Stato. Sono state giustiziate e non sapevano neanche di essere sotto mira". Solo due settimane dopo, a Sesto, le Br uccisero Manfredo Mazzanti, dirigente Falck, altro esponente del dialogo tra le parti. "Sesto ha pagato un prezzo enorme – ricorda Giorgio Oldrini, ex sindaco all’epoca giornalista -. Quella mattina mi trovavo con Beppe Carrà, deputato Pci. Ci precipitammo a Gorla. Briano era ancora lì, la testa appoggiata sul sedile, il sangue attorno".
Giustizia, certezza della pena, legalità dice anche Christian Iosa, che con la Fondazione Carlo Perini continua a trasmettere la memoria. Suo padre Antonio, gambizzato nel 1980 sempre dalla colonna Alasia, per anni ha riunito e rappresentato le famiglie delle vittime del terrorismo. "Ho appreso la notizia con un senso di liberazione e soddisfazione. Non è vendetta. È giustizia, rispetto per la vita umana. Mi auguro che, al rientro degli assassini, non sorgerà un movimento di solidarietà per la scarcerazione".
Laura Lana