REDAZIONE MILANO

Togliere gli spettacoli significa sacrificare posti di lavoro e il dono della bellezza

"Quando è scoppiata l’emergenza ero in tournée per il musical “We will rock you” e, da un giorno all’altro, la produzione è stata costretta a sospendere tutto. È dura perché ancora non ci sono prospettive sulla ripresa delle esibizioni dal vivo, né all’aperto e né nei teatri. Un disastro per gli artisti e tutti i lavoratori dietro il palco: macchinisti, tecnici, fonici, una filiera enorme paralizzata da due mesi. Alcuni non hanno avuto il sussidio statale di 600 euro. Eppure far ripartire in sicurezza anche questo mondo è possibile. Il primo passo è dare fiducia alle persone". Paolo Barillari, 39 anni, musicista, cantante, performer teatrale e autore, dà voce a questo mondo che non ripartirà nella fase 2. "Grandi eventi e piccole esibizioni generano un indotto altissimo". Contrario al fatto che non esista neppure un piano per la ripresa: "Dal 1° giugno ci si potrà far toccare da un parrucchiere, a breve si potrà andare a messa, ma non ci si potrà sedere in teatro, magari con due posti vuoti accanto, come sui mezzi. Perché? Occupare 850 posti in un teatro da 2mila sarebbe “ossigeno”. Servono regole e prudenza, occorre confidare nel buon senso della gente". Poi servono "finanziamenti e agevolazioni. La liquidità dei biglietti delle prevendite sia usata per aiutare maestranze e adeguare gli spazi. Tagliare gli spettacoli è togliere lavoro ma anche bellezza alle persone: un errore, soprattutto ora. Perché la bellezza è salvifica". M.V.