
Il cardinale Scola e il Discorso alla città di Milano
Milano, 3 dicembre 2015 - Due concetti cardine nel cristianesimo, misericordia e giustizia, ma anche il perdono - che "non sottovaluta" il male, "piuttosto non cessa di amare chi lo ha commesso" - sono quelli pronunciati più volte in Sant'Ambrogio dal cardinale e arcivescovo Angelo Scola, nel Discorso alla città per la festività del patrono di Milano intitolato infatti "Misericordia e giustizia nell'edificazione della società plurale".
"Talora percepiamo, sia a livello personale, sia a livello sociale - ha detto Scola -, la tensione tra giustizia e misericordia, che si fa forte di fronte all'esperienza del male, alla necessità di espiare la pena per riparare al danno inferto e alla pratica del perdono. Vi sono inoltre delitti efferati, come i terribili atti di terrorismo cui stiamo assistendo, in cui sembra non esserci alcuna possibilità di riparare. Il male, in questo caso, appare come assolutamente irrimediabile. Giustizia e misericordia sarebbero in tal modo in conflitto. E tuttavia dalla correlazione di questi due fattori deriva una serie di conseguenze che incidono in termini decisivi sulla qualità della vita dei singoli e della società civile". "Per affrontare queste scottanti tematiche - ha detto l'arcivescovo -, è utile riflettere sull'esperienza comune a tutti gli uomini, a qualunque etnia, cultura e religione appartengano. In particolare è necessario partire da un dato incontrovertibile proprio dell'esperienza umana: ogni uomo è sempre un io-in-relazione". Quindi per Scola, "misericordia e giustizia possiedono più affinità di quanto a prima vista si possa pensare. Un'affinità a partire dalla quale sarà possibile affrontare anche il conflitto che, sul piano storico e concreto, si dà spesso proprio a partire dal rapporto tra giustizia e misericordia".
Poi, un riferimento ai migranti: "Anche questa situazione chiama in causa, per molti aspetti, l'ordinamento legale. È un ambito in cui emerge chiaramente una forte dissociazione tra lo slancio compassionevole nei confronti delle migrazioni irregolari e i tentativi di trovarvi una ragionevole soluzione giuridica" ha detto Scola. Il cardinale ha fatto un rilievo "con discrezione ma anche con forza": secondo lui "non basta focalizzarsi sulle disumane, inaccettabili condizioni del viaggio dei migranti. Si deve guardare bene in faccia a un dato: queste persone sono costrette a sostenere simili fatiche per ragioni di assoluta necessità, come la difesa della vita, della libertà o la determinazione a lasciarsi alle spalle la fame e la miseria". Dunque l'immigrazione richiama la necessità di "approfondire una cultura dell'accoglienza, ma anche e soprattutto un giudizio circa la radice dell'odierno sistema socio-economico che è all'origine del fenomeno migratorio".
Scola ha richiamato di nuovo in questo passaggio il fenomeno del terrorismo islamista, che si sta aggravando, e il peso che sta assumendo anche per l'Europa: questi elementi, però, non cambiano quello che lui chiama "meticciato di culture e di civiltà" che le migrazioni presentano. "L'attuale e imponente fenomeno migratorio presenta certi aspetti di emergenza, ma è già - e lo sarà sempre più - un fenomeno strutturale. Inoltre il terrorismo non potrà essere battuto senza un processo integrativo che domanda ricerca e promozione di senso, impossibile senza un intenso risveglio dell'Europa" è stato il richiamo del Discorso. Il riferimento finale di questo passaggio è alle istituzioni statali a cui "l'integrazione degli immigrati domanda di garantire il contesto di ordine, di pace e di benessere necessario perché l'accoglienza possa essere concretamente attuata dai singoli e dai corpi intermedi". L'autorità statale inoltre "nel massimo rispetto della storia, della cultura e dei costumi del popolo che rappresenta ... non dovrà pretendere di imporre in modo meccanico un'idea astratta di integrazione". Per l'Arcivescovo il fenomeno migratorio ha bisogno di "un nuovo ordine mondiale", come "da tempo chiede l'insegnamento sociale della Chiesa".
Riflettendo sul rapporto tra giustizia e misericordia nell’ordinamento civile, Scola ha ricordato che "la pratica della giustizia dovrà colpire il reato, nel suo aspetto di “episodio” all’interno della vita della persona, ma non potrà mai privarla della sua dignità. Solo questa, per finire, è la ragione che rende sempre possibile il recupero". L’arcivescovo ha parlato quindi della situazione delle carceri, riferendosi al "cambiamento del quadro legislativo introdotto in Italia dal 2013, teso a rendere ancor più residuale la pena da scontare in carcere, per dare più spazio alle forme di esecuzione penale esterna". Tutte le misure positive in questa direzione "richiedono l’impegno fattivo della società civile in tutte le sue espressioni. Infatti, queste pratiche domandano di riorganizzare gli spazi e le attività negli istituti penitenziari, di dare risposta alla richiesta di abitazioni per gli arresti domiciliari, di assistere con viveri e abbigliamento e di offrire percorsi di lavoro non retribuito o retribuito e di accoglienza a coloro che scontano la loro pena fuori dagli istituti".
L'arcivescovo di Milano ha parlato durante la messa celebrata nella basilica di Sant'Ambrogio dove si trova una delle porte Sante del Giubileo presenti in Diocesi, porta dove "chiunque entrerà potrà sperimentare l'amore di Dio che consola, perdona e dona speranza". Il suo è stato un discorso rivolto non solo ai fedeli ma a tutti i «cittadini, gli attori sociali e i responsabili delle istituzioni» per riflettere su un tema 'chiave' come quello della giustizia e del suo rapporto con la misericordia.