Svizzera 1965: 88 operai uccisi nessun colpevole

Il cantiere di una diga spazzato via da un seracco. Baracche sotto la montagna: responsabili assolti

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di Federico Magni

Ghiaccio che crolla, precipita e travolge tutto e tutti. Quello che è accaduto sulla Marmolada non è una tragica novità. Ci sono diversi precedenti. Forse il più clamoroso, devastante e drammatico smottamento avvenne in Svizzera, nell’Alto Vallese, quando il ghiacciaio dell’Allalin sulle montagne di Sass Fee si sgretolò improvvisamente a oltre 3000 metri di quota e due milioni di metri cubi di ghiaccio e di detriti seppellirono l’intero cantiere aperto nella vallata per costruire la diga di Mattmark. (Nella foto la prima pagina del Giorno dell’epoca). Erano le 17,15 del 30 agosto 1965 e le baracche erano piene di operai. La catastrofe fece 88 vittime, dei quali 56 italiani. Il primo settembre il quotidiano svizzero “La nouvelliste”, pubblicò l’elenco completo della vittime di una strage che fu presto dimenticata. Le indagini per ricostruire le responsabilità e le sentenze dei processi che seguirono furono accolti in Italia come vicende assurde.

Non solo i parenti delle vittime italiane non ottennero risarcimento alcuno ma dovettero pagare le spese dei processi. Erano quelli gli anni in cui l’economia della Confederazione Elvetica puntava ancora sulla produzione di energia elettrica sfruttando le dighe. Quella di Mattmark era considerata come uno sbarramento dei più grandi e pertanto per la sua costruzione erano impiegati molti lavoratori. Qualche anno dopo la Svizzera cambiò rotta e si dotò delle centrali nucleari. I bacini e le loro grandi dighe passarono in secondo piano. In quegli anni era ancora robusta la tendenza degli italiani a migrare in cerca di un reddito. E così tra i lavoratori nel cantiere di Mattmark erano arrivati uomini dell’Italia meridionale, molti calabresi e pugliesi, ma anche numerosi friulani. I racconti di alcuni superstiti parlano di un lavoro molto duro. Si riposavano in quelle baracche che sconsideratamente furono collocate proprio a valle dell’immenso ghiacciaio dell’Allalin incombente con i suoi seracchi ben visibil. Già da tempo si erano verificati segni di cedimenti, ma la direzione dei lavori non volle spostare le baracche. Quando il ghiaccio crollò era ormai pomeriggio e i turni di lavoro era terminati. Quindi gli operai dormivano nella baracche. Per questo il numero dei morti fu così alto. Nelle indagini furono coinvolti esperti geologi e glaciologi. Ma anche nella giustizia elvetica i tempi si allungarono. Si giunse al 1970, diciassette persone furono indagate con l’ipotesi di reato di omicidio colposo. Erano in gran parte funzionari della Elettro-Watt Ag (la società che gestiva i lavori). Al tribunale dell’Alto Vallese, riunitosi nel febbraio del 1972, il procuratore della repubblica chiese di multe e altre sanzioni pecuniarie. La pena prevista, già di per se stessa quasi ridicola, fu comunque spazzata via dalla sentenza pronunciata nel marzo dello stesso anno: assoluzione totale per tutti gli imputati. Catastrofe imprevedibile. Le parti civili e i parenti della vittime furono condannati al pagamento delle spese processuali.

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