Mentre la maggioranza di centrodestra si appresta a ribadire che la Regione Lombardia, in assenza di una legge statale, non può approvare alcuna legge regionale che definisca i tempi e le procedure per il suicidio medicalmente assistito, la sanità lombarda autorizza un malato terminale a ricorrere proprio al suicidio medicalmente assistito seguendo una prassi che, in assenza di una legge statale ed una legge regionale, discende da una sentenza della Corte Costituzionale. Sembra assurdo, invece è cronaca.
Nel dettaglio, stamattina in Consiglio regionale sarà messa ai voti una pregiudiziale di costituzionalità relativa alla proposta di legge di iniziativa popolare sul Fine Vita. Con la pregiudiziale si afferma – in sintesi – che la competenza a disciplinare la materia è esclusivamente dello Stato e, quindi, la Regione deve evitare di procedere. A proporre la pregiudiziale sarà, come detto, la maggioranza di centrodestra. A volerla è stato, in particolare, il primo partito della coalizione: Fratelli d’Italia che esprime i presidenti di entrambe le commissioni del Consiglio regionale che hanno fin qui esaminato la proposta di legge promossa dal Comitato Liberi Subito e dall’Associazione Luca Coscioni, che hanno raccolto oltre 8mila firme in Lombardia.
Si tratta di Matteo Forte, ciellino, presidente della Commissione Affari Istituzionali, firmatario della pregiudiziale, e di Patrizia Baffi, presidente della Commissione Sanità. Proprio lunedì, però, l’Associazione Luca Coscioni ha dato notizia del via libera dato dalla sanità lombarda ad una persona malata che ha chiesto di poter porre fine alle proprie sofferenze. Secondo quanto appreso da Il Giorno il via libera è stato dato dall’Agenzia di Tutela della Salute (Ats) di Milano una volta compiute tutte le tappe di una procedura che ad oggi non è codificata in alcuna legge ma è riportata in una sentenza della Corte Costituzionale (la numero 242 del 2019) che ha valore di legge.
In ossequio a quanto stabilito dalla Consulta, la richiesta di ricorrere al suicidio medicalmente assistito deve essere presentata all’Ats o all’Asl sotto la quale ricade il Comune in cui si risiede; a quel punto l’Ats incarica una commissione multidisciplinare, quindi composta da più specialisti, di verificare se la condizione del malato sia o no tale da poter beneficiare del Fine Vita: la Corte Costituzionale ha infatti definito criteri precisi per il ricorso al suicidio medicalmente assistito. Una volta compiuta e andata a buon fine questa verifica, arriva il via libera dell’Ats. Nel mezzo può essere chiesto un parere al Comitato Etico competente, il cui pronunciamento non è comunque vincolante.
Può porsi, però, il tema di chi paghi il farmaco, il macchinario necessario per la sua somministrazione e il medico chiamato a vigilare sulle modalità di somministrazione. La sentenza della Consulta dice chiaramente che le spese devono essere completamente a carico del servizio sanitario nazionale, ma non sempre è accaduto che andasse così. L’altra grande incognita sono i tempi di risposta e, quindi, i tempi per l’avvio e il completamento delle procedure di verifica delle condizioni del malato e di autorizzazione al suicidio assistito. È per questo che serve una legge regionale: per definire tempi e procedure certe. Ed è quanto richiederebbe la Consulta alle Regioni nella sentenza, come sottolineato nei giorni scorsi dagli oltre 50 giuristi che hanno firmato un appello al governatore Attilio Fontana perché si apra un dibattito vero sul Fine Vita senza che sia stoppato sul nascere con l’approvazione della pregiudiziale.
Il centrodestra lombardo ha però presentato pareri che vanno in direzione opposta. I legali dell’Associazioni Coscioni non ci stanno: “La pregiudiziale di costituzionalità è pretestuosa e infondata come dimostra l’ultima richiesta ad un’azienda sanitaria lombarda. Ed è pure illegittima per tre ragioni. La prima: c’è stata una violazione delle regole sull’iniziativa popolare perché lo Statuto regionale stabilisce che l’Ufficio di Presidenza è l’unico organo competente a verificare l’ammissibilità delle proposte di legge popolari e questo controllo è già stato effettuato a febbraio, con esito positivo. La seconda: lo Statuto regionale e le leggi regionali che disciplinano l’iniziativa popolare hanno un valore superiore rispetto al regolamento interno del Consiglio. Consentire al Consiglio di bocciare una proposta già ammessa significherebbe ignorare la gerarchia delle norme, creando un pericoloso precedente. Terza ragione: gli oltre ottomila firmatari lombardi e i promotori della legge hanno diritto a un processo trasparente”.