Strangolò la ex e depistò "Aggressività non comune"

Le motivazioni della condanna a 18 anni di George Kyeremeh. Il 12 maggio di due anni fa uccise la 25enne Tunde Blessing a Mazzo di Rho

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Ha manifestato "una non comune aggressività e capacità di resistenza alla sofferenza disperata della vittima". Così il gup Lorenza Pasquinelli descrive, nella motivazione della sentenza dello scorso ottobre, George Kyeremeh, operaio ghanese di 35 anni condannato a 18 anni di reclusione, per aver ucciso Tunde Blessing. La nigeriana di 25 anni il 12 maggio di due anni fa era stata trovata morta in un’area verde a Mazzo di Rho. Il verdetto era arrivato nel processo con rito abbreviato (sconto di un terzo sulla pena) a carico dell’uomo accusato di omicidio volontario e rapina, a seguito dell’inchiesta coordinata dal pm Grazia Colacicco. Il ghanese, stando alle indagini, non accettava la fine della loro relazione. Secondo le indagini dei militari, i due avevano interrotto una relazione sentimentale che andava avanti da circa un anno, per volontà della donna, probabilmente stanca, stando a quanto riferito da amici e coinquilini, della gelosia morbosa del compagno e delle continue liti all’interno dell’appartamento.

L’uomo avrebbe provato a convincere la ex a tornare sui suoi passi, chiamandola più volte tra il 13 aprile e il 3 maggio e chiedendo a un’amica della ragazza di intercedere per convincerla a tornare con lui. Il corpo della donna era stato poi trovato a poca distanza dal punto in cui si prostituiva da alcuni mesi, quando aveva cacciato di casa Kyeremeh e si era trovata senza supporto economico.

A inchiodare l’assassino erano state le immagini registrate da una telecamera, che avevano collocato l’uomo sul luogo in cui Blessing attendeva i clienti nel primo pomeriggio del 3 maggio, il giorno della morte. Solo poche ore prima, alle 13, la venticinquenne aveva fatto una videochiamata a un’amica per mostrarle una borsa appena acquistata a Rho. Il tempo in cui poteva essere avvenuta la morte era quindi abbastanza circoscritto. Gli esami autoptici avevano confermato che la 25enne era stata stata strangolata usando l’elastico che teneva fermi i capelli. L’esito dell’autopsia aveva anche stabilito la data precia della morte, avvenuta appunto il 3 maggio.

L’ex compagno dopo l’omicidio le aveva portato via il cellulare e aveva tentato di depistare le indagini sostenendo che lui non c’entrasse nulla con la morte della donna. All’imputato, condannato per omicidio volontario aggravato e rapina, non è stata riconosciuta alcuna attenuante, anche perché, come scrive il gup, il 35enne ha "cercato sistematicamente di depistare" le indagini, pure portando via il telefono alla donna e con "elementi nuovi e confusi", fino "addirittura a fingere problemi di natura psichiatrica". Un "goffo tentativo" di cavarsela, come si legge nelle motivazioni.

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