NICOLA PALMA E GIULIA BONEZZI
Cronaca

Stop alla “liana degli spiriti”, sostanza culto dei fedeli dell’ayahuasca: cos’è e perché viene considerata droga

Gli adepti del Santo Daime assumono la sostanza durante le funzioni. Nel 2022 l’Istituto superiore di Sanità l’ha inserita tra gli stupefacenti. Causa legale persa dalla comunità religiosa dell’Unione del Vegetale

La cottura delle liane e del fogliame con effetti psicotropi

La cottura delle liane e del fogliame con effetti psicotropi

MILANO – Le prime tracce si ritrovano in un libro del 1850 dell’esploratore naturalista lombardo Gaetano Osculati, che ne apprese l’uso per scopi divinatori durante un viaggio in Brasile: "All’insorgere di qualche sospetto, il capo della casa si affretta a prendere il sugo d’una pianta della Aya-guassú, specie di narcotico che lo esalta e poi l’addormenta, procurandogli stravaganti sogni, nei quali pretende gli si riveli l’autore del danno".

È lì, in Amazzonia, che crescono le piante da cuocere per ricavare il decotto psichedelico a base di dimetiltriptammina (Dmt). Dal Sudamerica, la cosiddetta "liana degli spiriti" è sbarcata in Italia a metà anni Ottanta, diventando la bevanda sacramentale dei fedeli del Santo Daime, pratica religiosa che racchiude al suo interno elementi del cattolicesimo popolare e dello sciamanesimo d’oltre Atlantico: gli adepti credono che l’ayahuasca, estratta dalla bollitura in acqua dei fusti della liana Banisteriopsis caapi e delle foglie dell’arbusto Psychotria viridis, sia "una manifestazione del sangue di Nostro Signore Gesù Cristo", l’equivalente del sacramento della comunione nella Chiesa cattolica.

I report scientifici

Peccato che al Ministero della Salute siano molto più pragmatici e che i tecnici dell’Istituto superiore di sanità abbiano evidenziato nel loro parere, sollecitato anche da due segnalazioni del Centro antiveleni di Pavia nel 2011 e nel 2018, "la natura allucinogena e di sostanza psicoattiva" dell’ayahuasca e di altri alcaloidi come l’armina e l’armalina, "nonché, entro gli indicati limiti, la loro tossicità e la ricorrenza del loro uso sul territorio nazionale". Da lì la decisione per decreto, pubblicata il 14 marzo 2022 sulla Gazzetta Ufficiale, di inserire il decotto e le piante che lo alimentano al punto 591 della tabella I delle sostanze stupefacenti e psicotrope. Tradotto: un anno e mezzo fa, l’ayuhuasca è diventata a tutti gli effetti una droga, come in Francia. Ieri il Consiglio di Stato ha ratificato quella decisione, confermando il verdetto del Tar di sette mesi fa e respingendo per la seconda volta i ricorsi presentati da due associazioni religiose. ù

La battaglia legale

I primi a chiamare in causa la giustizia amministrativa sono stati i fedeli della Chiesa italiana del culto eclettico della Fluente luce universale (Iceflu Italia), con sede in provincia di Reggio Emilia, e il loro rappresentante legale Walter Menozzi. Già, Walter Menozzi, il bocconiano che nell’ormai lontano 2005, quando di anni ne aveva trenta, fu arrestato dalla Guardia di finanza insieme ad altri 23 con la pesantissima accusa di aver messo in piedi un’associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti. Che tipo di stupefacenti? Manco a dirlo: l’ayahuasca. L’inchiesta non approdò mai a un processo perché il pm chiese l’archiviazione; tanto che in seguito Menozzi e altri furono pure risarciti per il periodo di detenzione ingiustamente patito. Ora quel nome torna nella battaglia legale contro lo stop alla "liana degli spiriti" nelle funzioni di Iceflu Italia, a cui si è associata pure la filiale nostrana del Centro Espírita Beneficente União do Vegetal, con sede dietro San Vittore, un’altra religione made in Brasile che si rifà agli stessi principi del Santo Daime.

50mila assunzioni in 32 anni

Secondo i legali dei ricorrenti, "da circa 50 anni l’ayahuasca è studiata a livello scientifico e nei decenni si sono intensificati gli studi a livello multidisciplinare: botanica, antropologia, farmacologia, medicina, psicologia, sociologia e diritto". Risultato: "Nelle oltre 50mila assunzioni registrate in 32 anni di attività in Italia, non si è mai registrato un singolo caso di problema di salute o di ordine pubblico, sicché l’uso controllato, anche in un contesto religioso come nel caso del “Santo Daime”, non solo non sembra presentare rischi per la salute e l’ordine pubblico, ma addirittura può favorire miglioramenti nel benessere generale delle persone che frequentano queste cerimonie". Per sostenere le loro ragioni, gli adepti della Fluente luce universale hanno aggiunto che durante i riti religiosi si beve un quantitativo che starebbe in una tazzina di caffè, "con presenza dello 0,05% di Dmt". Tesi rispedite al mittente dai giudici di Palazzo Spada: "Le deduzioni e produzioni di parte, peraltro focalizzate soprattutto sugli effetti dell’assunzione della bevanda “Santo Daime”, non assumono e non presentano quella “maggiore attendibilità” idonea a far dubitare dell’attendibilità tecnico-scientifica dell’istruttoria compiuta" dal Ministero della Salute. Del resto, "dalle perizie versate in atti non emergerebbe con evidenza la dimostrazione scientifica degli effetti onirici in luogo di quelli allucinogeni o, comunque, l’assenza dei presupposti per l’iscrizione nella tabella I". E la libertà di professare la propria religione? È vero, si legge, che è garantita dall’articolo 8 della Costituzione, ma è altrettanto vero che va bilanciata con le esigenze di tutela dell’ordine pubblico e con il diritto alla salute.

La porta socchiusa

Nelle motivazioni del provvedimento, si sottolinea più volte che i ricorrenti si sono concentrati solo sul decreto ministeriale, sovrapponendo le valutazioni su Dmt, armina e armalina a quelle sulla bevanda del Santo Daime, evidenziando che quest’ultima avrebbe concentrazioni molto basse di dimetiltriptammina. Detto altrimenti: hanno sostenuto che il decotto non provocherebbe gli stessi effetti della "Dmt pura", portando inconsapevolmente acqua al mulino di chi sostiene che è una droga. Quindi, il suggerimento, meglio avrebbero fatto a richiedere "un’eccezione per l’uso controllato del “Santo Daime”".