
Manifestazione pro unioni civili (NewPress)
Milano, 15 aprile 2018 - Il matrimonio d’un italiano - o di un’italiana - all’estero con uno straniero dello stesso sesso non vale in Italia, ma è convertibile senza discriminazione in un’unione civile secondo la Cassazione. Non secondo la coppia mista formata da un milanese e da un brasiliano che aveva impugnato il rifiuto opposto dall’ufficiale di stato civile di Milano a trascrivere le loro nozze, già doppie: erano convolati in Brasile nel 2012 e in Portogallo nel 2013, dove il matrimonio omosessuale è riconosciuto. E per vedersi marito e marito all’Anagrafe sono arrivati, col supporto della “Rete Lenford”, associazione d’avvocati per i diritti Lgbti, fino alla Suprema corte, che ha respinto il loro ricorso fornendo, a due anni esatti dall’entrata in vigore della legge Cirinnà, la prima pronuncia sui matrimoni come il loro. Diversi dai matrimoni omo celebrati all’estero tra due stranieri, il cui diritto alla trascrizione in Italia è previsto da decenni, perché non ritenuti finalizzati a eludere la nostra normativa.
La sentenza depositata ieri, che farà giurisprudenza, chiarisce che il nostro Paese ha stabilito - com’era tra le sue prerogative riconosciute dagli Stati del Consiglio d’Europa - che «il matrimonio tra persone dello stesso sesso non corrisponde al modello matrimoniale delineato dal nostro ordinamento». E dunque il rifiuto di quell’ufficiale, già convalidato dalla Corte d’Appello nel 2015, era motivato dalla contrarietà all’ordine pubblico. Ma le nozze estere, aggiunge la Cassazione, non sono prive di riconoscimento in Italia perché possono essere convertite unioni civili, anche se sono state contratte, come in questo caso, prima dell’entrata in vigore della legge che le ha istituite. E la conversione secondo gli ermellini non costituisce un «downgrading», una diminutio discriminatoria come sostengono la coppia italo-brasiliana e i suoi avvocati. «Con la legge 76 del 2016 il legislatore ha colmato un vuoto di tutela», ricordano i giudici, «come richiesto» dalla Consulta nel 2014 e dalla Corte europea dei diritti umani nel 2011 e nel 2015, «operando una scelta diversa da quella di molti altri Stati. Per le unioni omoaffettive è stato scelto un modello di riconoscimento giuridico peculiare, ancorché in larga parte conformato per quanto riguarda i diritti ed i doveri dei componenti dell’unione, al rapporto matrimoniale». Il «parametro di riferimento antidiscriminatorio» delle unioni civili sta nel fatto che hanno gli stessi strumenti di regolazione previsti dal codice civile per matrimonio.