Milano – "Usciamo dal solito stereotipo della “famiglia del mulino bianco“. Non se ne può più. Cos’è una buona famiglia? Questa dicitura, questa retorica, andrebbe abolita. Come se fatti simili ce li dovessimo aspettare di più da famiglie disagiate che dai figli degli avvocati. Non è proprio così". Lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet, autore di Mordere il cielo. Dove sono finite le nostre emozioni, parte da qui per analizzare la strage familiare di Paderno Dugnano: "Ventitré anni fa ne parlavo per il caso di Novi Ligure. E non mi prendevano sul serio, ma rieccoci".
Cos’è cambiato da allora?
"Niente. O meglio la situazione è peggiorata. Già all’epoca non si parlava più gli uni con gli altri. Adesso ci si sono messi anche i social, la gente è ancora più isolata. Si è frantumata la famiglia e pure la comunità: un ragazzino di 17 anni che si mette la “vision pro” sugli occhi è più o meno isolato?".
Però, in questo caso, si dice che il ragazzo fosse molto poco social. Faceva sport, era impegnato nel sociale...
"Bene, però li avranno usati i suoi amici, la sua famiglia. C’è un uso eccessivo evidente dei social, si creano vite parallele e non si parla più. Erika, prima dell’omicidio andava a documentarsi in biblioteca, leggeva solo libri di criminologia. Tutti i giorni. Li sottolineava. Inquietante? Ma nessuno lo sapeva, era passato sotto traccia. Eravamo già muti, sordi. E adesso lo siamo ancora di più. Gli influencer comunicano? La comunicazione è fatta da uno che fa domande, uno risponde, l’altro che controbatte, come stiamo facendo noi adesso. Manca tutto questo. Abbiamo scambiato i soldi con le parole. Giulia (Cecchettin, ndr) ha ricevuto 800 messaggi dal suo assassino. E nessuno sapeva. L’ora dei sentimenti, invocata dopo il suo femminicidio, che fine ha fatto? Non ne parla più nessuno".
Servirebbe?
"Non lo so. Abbiamo riempito la scuola di psicologi e le pare che sia servito? Si è generata un’epidemia della fragilità, anche perché la si cerca ovunque. Non crede che costringere un ragazzo ad andare dallo psicologo metta ansia di per sé?".
Cosa si potrebbe fare, allora?
"Cambiare la scuola. Che deve iniziare prima, a 5 anni. E deve finire un anno prima, come nel resto d’Europa, per responsabilizzare i ragazzi. Anche la maggiore età andrebbe anticipata. Più tempo pieno, più gioco e meno tecnologia all’asilo. Più esperienze, più teatro anche per affrontare temi come l’anoressia. Parlare di felicità. Ma in questo Paese vecchio non c’è mezza idea per scuole e famiglie. E sa qual è il paradosso?".
Quale?
"Che c’è un controllo massimo proprio nelle ore di scuola, con invenzioni come il registro elettronico. Ma dopo le 21.30 di quel sabato, poche famiglie italiane sapevano dov’erano i propri figli. Siamo una società in frantumi".