Smog veicolo del Covid? Scontro fra scienziati

Il nuovo studio Cnr-Arpa: l’inquinamento non favorisce la diffusione del virus nell’aria. A marzo altra ricerca ma conclusioni opposte

A marzo, nel pieno della pandemia, ricercatori avevano ipotizzato una relazione tra i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di particolato atmosferico e il numero di casi infetti da Covid. Ora uno studio condotto da Cnr e Arpa Lombardia, pubblicato su Environmental Research, arriva a conclusioni opposte: il particolato atmosferico non favorisce la diffusione in aria del Covid-19. La ricerca ha analizzato le concentrazioni di SARS-CoV-2 in aria nelle città di Milano e Bergamo, studiando l’interazione con le altre particelle presenti in atmosfera. Secondo le loro conclusioni, il particolato atmosferico e il virus non interagiscono tra loro. Pertanto, escludendo le zone di assembramento, la probabilità di maggiore trasmissione in aria del contagio in outdoor in zone a elevato inquinamento atmosferico appare essenzialmente trascurabile. "Per avere una probabilità media del 50% di individuare il SARS-CoV-2 nei campioni giornalieri di Pm10 a Milano sarebbe necessario un numero di contagiati, anche asintomatici, pari a circa 45mila nella città di Milano (3,2% della popolazione) e a circa 6.300 a Bergamo (5,2% della popolazione)", sottolinea Vorne Gianelle responsabile Centro Specialistico di Monitoraggio della qualità dell’aria di Arpa Lombardia.

"Pertanto, allo stato attuale delle ricerche – spiega – l’identificazione del nuovo coronavirus in aria outdoor non appare un metodo efficace di allerta precoce per le ondate pandemiche". "La probabilità che le particelle virali in atmosfera formino agglomerati con il particolato atmosferico pre-esistente, di dimensioni comparabili o maggiori, è trascurabile anche nelle condizioni di alto inquinamento tipico dell’area di Milano in inverno", conclude Franco Belosi, ricercatore Cnr-Isac di Bologna. Il dilagare del virus in Lombardia, quindi, non sarebbe stato favorito dalla qualità dell’aria di una delle aree più inquinate d’italia ma piuttosto da altri fattori.

Un parere diverso da quello emerso nel marzo scorso, quando un gruppo di ricercatori della Società Italiana Medicina Ambientale, dell’Università di Bari Aldo Moro e dell’Università di Bologna avevano ipotizzato una relazione tra i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di particolato atmosferico e il numero di casi di infetti da Covid. Risultati in linea con quelli di altri studi effettuati anche in altri Paesi, ora smontati dalla nuova ricerca.

Andrea Gianni

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