LUCA TAVECCHIO
Cronaca

Sicurezza a Milano, il sociologo Abis: "Periferie non governate e welfare quasi assente. In tanti hanno colpe"

L’analisi: il 65% dei residenti è preoccupato. A mancare "una vera governance che integri hinterland e capoluogo". Dalle politiche sociali all’accoglienza "lo Stato è troppo lontano"

Il viceispettore Christian Di Martino è stabile nella terapia intensiva dell’ospedale Niguarda, dove è arrivato gravissimo mercoledì notte, accoltellato alla schiena da Hasan Hamis, un 37enne marocchino (da oltre vent’anni irregolare in Italia nonostante tre ordini di espulsione) che lanciava sassi a treni e persone alla stazione di Lambrate. Il poliziotto ieri è stato sottoposto a una prima indagine chirurgica programmata (altre sono pianificate nei prossimi giorni) sul decorso degli interventi effettuati in urgenza a intestino, rene, polmone e arterie (gli sono state trasfuse novanta sacche di sangue e plasma). Il 35enne mostra timidi segnali di ripresa ma rimane in prognosi riservata. Al Niguarda era finito, la notte seguente, Mohamad El Shaad Ali Harga, un 37enne egiziano richiedente asilo che brandiva pietre vicino alla stazione Centrale dopo esser stato denunciato per rapina: i chirurghi gli hanno estratto dalla spalla il proiettile che gli aveva sparato un agente della Polfer mentre questi gli si avventava contro. La doppietta di notti violente ha avuto strascichi politici: il sindaco Beppe Sala ai prodromi dell’ennesima polemica sulla sicurezza a Milano ha attaccato il Governo («Le espulsioni vanno eseguite»); il sottosegretario all’Interno della Lega Nicola Molteni ha annunciato, per tutta risposta, l’apertura di un secondo Cpr a Milano.

di GIULIA BONEZZI

Immigrazione, marginalità e disuguaglianza sociale, mancata integrazione delle periferie. Sono i temi che, periodicamente, ricompaiono quando si parla di sicurezza a Milano, come in questi giorni di allarme sul fronte criminalità, con le aggressioni alle forze dell’ordine da parte di due dei tanti invisibili della città.

Problemi tipici delle grandi metropoli, "amplificati però a Milano da un problema di governo del suo territorio allargato e dalle profonde trasformazioni degli ultimi venti anni, che hanno di fatto aumentato il divario tra ricchi e poveri", dice Mario Abis, sociologo docente di statistica e metodologia della ricerca statistica dello Iulm e studioso dell’evoluzione dei nuovi modelli dell’urbanistica. Questioni che – sottolinea il professore – alimentano la "crescente percezione di insicurezza dei cittadini, altro fenomeno che caratterizza Milano, soprattutto negli ultimi anni".

Professor Abis, la sicurezza è un tema tipico delle metropoli, che sembra organico alla definizione stessa di metropoli, i cittadini di Milano devono quindi rassegnarsi?

"È vero che la sicurezza e la criminalità sono temi con cui le metropoli ormai convivono da anni, il problema però è che Milano non è una vera metropoli. La città non ha neanche 1,4 milioni di abitanti. È una metropoli solo se si considera l’intera area metropolitana, che comprende l’hinterland e tutto il bacino di riferimento, con le sue tante periferie. Una grande area di interconnessione economica e sociale che però non ha un vero governo. La criticità specifica è proprio quella della città metropolitana mancata. Milano vive in un limbo in cui la Provincia è stata cancellata, ma la Città Metropolitana che doveva sostituirla di fatto non c’è: manca quindi tutta l’infrastruttura di governance in una città che è cresciuta molto, con l’immigrazione e i nuovi abitanti. Una mancanza che si porta dietro tutte le difficoltà di pianificazione degli interventi sociali, politici ed economici, che sono i veri strumenti di prevenzione e integrazione".

La città in questi anni è cambiata molto dal punto di vista urbanistico, questo ha influito anche sulla questione sicurezza?

"Negli ultimi 15-20 anni Milano ha subito una grande trasformazione. Dal punto di vista urbanistico è stata una rivoluzione, trascinata da una speculazione immobiliare, che è sembrata essere come una droga di cui non si riesce più a fare a meno. Una trasformazione che ha fatto da amplificatore delle disuguaglianze sociali, aumentando il divario tra ricchi e poveri. Lo splendore dei grattacieli insomma ha fatto trascurare le periferie e le loro difficoltà. Per citare Gaber, il papà ricco dice al figlio “Guarda, quello che vedi un giorno sarà tuo!”, il papà povero invece al figlio dice “Guarda“. E basta".

C’è anche chi sostiene che sull’allarme criminalità giochi un ruolo fondamentale la percezione dei cittadini, è così?

"Quello della percezione della sicurezza e di come si vive la città è l’altro grande aspetto della questione. La crescita della percezione di insicurezza, della fatica a vivere in città, è il vero fenomeno importante di Milano. Gli ultimi dati ci dicono che la sicurezza è una delle principali preoccupazioni per il 65% della popolazione. Significa tre quarti dei cittadini. Questa percentuale solo otto anni fa era intorno al 40%. C’è stata quindi una crescita esponenziale, sulla quale bisogna interrogarsi. Su questo influiscono fattori generali, ad iniziare dall’incertezza sul futuro, che nessuno riesce neanche più a immaginare, che crea paura. Poi ci sono i social, una lente che distorce e crea una società ansiogena, in cui la gente non è più sicura neanche delle informazioni che ha. Ci sono però poi elementi più specifici della realtà milanese. Che riguardano proprio la sua grande crescita e trasformazione e, appunto, la mancanza di una governance del suo territorio allargato. Che ha aperto ulteriori fronti di insicurezza, come quello della sanità - gli ultimi dati parlano di un 30% di persone che non si cura per mancanza di mezzi - e quello della mobilità. Il risultato è la città è vissuta sempre più con fatica e ansia".

Come si esce da questo circolo vizioso?

"Occorre fare una politica sociale e politica di welfare, di attenzione ai soggetti deboli e va fatta creando delle strutture di integrazione comunitaria dal basso. E anche qui è un problema di governance: c’è un Comune che fa quello che può e poi una Regione che è lontanissima, lontana quanto lo Stato ormai. In mezzo non c’è niente. Ed è in quello spazio che manca che si dovrebbero pianificare strutture e servizi, e lavorare per una vera integrazione".