
Samuele Spadea all'interno del tir trasformato in monolocale
Milano – Samuele Spadea ha creato un monolocale all’interno del rimorchio di un camion. Giorno dopo giorno, pezzo dopo pezzo, ha trasformato un bilico nella sua casa. Ne ha rattoppato il tetto perché non ci piova dentro. Vi ha installato due lampadari per avere luce ed un ventilatore che muova l’aria. Un secondo ventilatore è in fondo al rimorchio, sul lato opposto al portellone di ingresso, verso la cabina di guida, fissato alla parete di destra, di fronte al cuscino, sopra il letto. Non è un ventilatore come gli altri, “è l’elettroventola del radiatore di un’auto – fa sapere Spadea –: la accendo quando non ne posso proprio fare a meno”. Perché quella non muove aria, quella scatena un vento di burrasca, soprattutto se accesa in un monolocale, per l’esattezza in “un monolocale di 17,5 metri quadrati”: Spadea ne ha preso le misure quando ha deciso di posarvi le piastrelle del pavimento. Ora, prima di camminarci sopra, c’è da pulirsi le scarpe sullo zerbino adagiato all’entrata, sulla soglia del portellone, pure sormontato da una piccola telecamere che filma chi si avvicini: l’ha installata Spadea, ovviamente.

Se ci si avvicina quando è già buio, si accendono delle luci, in automatico, innescate da sensori ottici che rilevano la presenza di persone: idea ed opera di nuovo di Spadea. “Ho comprato tutto su internet” spiega. Una piccola cucina con quattro fuochi, un lavandino per le stoviglie, una doccia, una scrivania, una poltroncina, due sedie, poi mobili e mensole in legno: “Alcuni arredi li ho recuperati da chi voleva liberarsene, altri li ho acquistati”. Manca un frigorifero perché dentro alla casa-rimorchio quasi tutto è alimentato con batterie d’auto e un frigo “consumerebbe troppa elettricità in un amen”. Per il resto non manca nulla, c’è pure il cassetto dei ricordi, quello che si apre quando si è da soli, quello che Spadea apre ogni sera, prima di dormire, per scambiare due chiacchiere con Francesca, il suo ultimo amore, che gli sorride da una foto, sempre la stessa, e lo guarda da Lassù: “È morta a febbraio per malattia”.
Sul portellone del rimorchio Spadea ha infine affisso una targhetta con impresso a caratteri dorati, su sfondo nero, il nome della via in cui si trova e il numero civico. Per il civico è andato a spanne. Ma funziona: quando acquista qualcosa sul web comunica quell’indirizzo, “oltre alla targa del camion”, e i corrieri lo trovano sempre. In quella via, a quel civico, su quel camion, se proprio non ci sono alternative, Spadea prenderebbe anche la residenza, se solo il Comune di Milano gliela desse. Oggi una residenza non ce l’ha. “Da settembre, da quasi un anno, sto chiedendo la residenza fittizia (quella pensata per i senza fissa dimora ndr) ma non me la danno”. Come detto, Spadea la vorrebbe anche lì dov’è, su quel rimorchio fermo in una strada di periferia.
Ma per ora non c’è stato modo di averla: “Mi sono rivolto al Municipio competente e sono andato, non una ma tre volte, al centro di via Sammartini – racconta –, ma mi hanno detto che il Comune di Milano ha bloccato temporaneamente le residenze fittizie, non ne rilascia più”. Sì, un blocco c’è stato, per il volume inaspettato di richieste, come spiega l’articolo a fianco. Ma Spadea ha 66 anni, un’invalidità dell’85% dovuta all’artrite reumatoide (malattia cronica e degenerativa), è cardiopatico, e vive della sua pensione: prima di viverci, sui camion ci ha lavorato, era autotrasportatore. Ora, senza la residenza, non può accedere ad alcuna misura di welfare. Né pubblica né privata. La residenza è necessaria per chiedere una casa popolare, per il medico di base, per la previdenza: “L’Inps – racconta – continua a sollecitarmi via mail di regolarizzare la mia anagrafica, per quanto ne sa l’Inps potrei vivere all’estero e a in quel caso potrei smenarci la pensione”. Senza la residenza, non è possibile accendere finanziamenti, “diventa un problema anche l’assicurazione dell’auto o il contratto per la scheda del cellulare: diventa un problema tutto, pure le cose quotidiane”.
Spadea ha perso la residenza “dopo la separazione: allora sono uscito dallo stato di famiglia”. A quel punto è iniziata la sua terza vita: “Con la mia pensione non posso permettermi di pagare l’affitto di un alloggio privato a Milano e per le case popolari non posso far domanda. Per questo vivo nel camion da due anni e mezzo. D’altra parte, non posso andar via da Milano: per i miei problemi di salute sono seguito dal Sacco e dal Monzino, fino a quando sarà valida la tessera sanitaria”. Su un foglio dell’ospedale, Spadea è definito “irreperibile”. Uno dei suoi tre figli, ad un certo punto, si è offerto di ospitarlo. Ma lui non vuole “pesare su nessuno”. E ripete un principio: “È lo Stato che deve aiutarmi. Esiste per questo. Basta la residenza fittizia, poi mi tiro fuori io”. Già una volta s’è tirato fuori, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90. “Mi sono messo a studiare per prendere le patenti che servivano per diventare camionista. E ce l’ho fatta. Ho trovato subito lavoro e lavoravo bene”. Lì è iniziata la sua seconda vita dopo anni tra rapine e carcere. “Non sono mai stato uno stinco di santo, ma so rimboccarmi le maniche. E l’ho fatto. Da solo. Senza chiedere niente a nessuno nonostante le istituzioni facciano tante belle parole sul reinserimento dei detenuti. Ora sto chiedendo quello che spetta a chi è nella mia situazione: la residenza fittizia, niente di più”.