Milano – Ogni mercoledì serve panini agli ultimi. Agli invisibili di Rogoredo che alla postazione dei volontari si presentano per un pasto o indumenti in regalo. E ce ne sono tanti, che dall’ex Boschetto della droga di via Sant’Arialdo si sono spostati nella distesa di terra accanto ai binari dell’Alta velocità, sotto i ponti della tangenziale e verso l’hinterland. Ogni mercoledì, in uno slargo di via Sant’Arialdo, nel “Team Rogoredo“ arriva anche lui: Paolo Talenti, responsabile dei ristoranti McDonald’s di San Giuliano, Rozzano, Locate Triulzi e Binasco. "Da un paio d’anni mi sono unito ai volontari", spiega. E vedendo gli occhi di chi è solo, senza una famiglia alle spalle, ha deciso di fare qualcosa: "Ho aiutato tre di questi ragazzi a reinserirsi nel mondo del lavoro assumendoli al McDonald’s".
Ragazzi che vivevano senza nulla, inghiottiti dal “buco nero“ di Rogoredo?
"Sì, arrivavano tutti da Rogoredo e desideravano rinascere. Due di loro, italiani di 19 e 24 anni, avevano già scelto di entrare nella comunità “Casa del giovane“ dello psicologo Simone Feder, che gestisce il “Team Rogoredo“ ed è il mio punto di riferimento. A un certo punto del percorso è arrivato il momento di inserirli in un contesto lavorativo, allora ho dato loro un’opportunità nei ristoranti. Hanno lavorato per alcuni mesi prima di prendere altre strade, a seconda delle loro esigenze e anche per essere più vicini al loro nuovo contesto abitativo. Di certo sapere che qualcuno aveva fiducia in loro, sentirsi accolti, avere delle responsabilità e anche delle regole da seguire li ha aiutati molto".
E il terzo giovane?
"È originario del Burkina Faso, arrivato in Italia quando era ancora minorenne (ora è ventenne), pieno di voglia di fare. È stato ospitato in un centro di prima accoglienza, ha lavorato come rider, tanto che conosce benissimo Milano perché si spostava da una parte all’altra per la consegna del cibo. Poi non so cosa sia successo: è caduto nella “trappola Rogoredo“. Viveva come un senzatetto, in case abbandonate o rifugi di fortuna. Probabilmente abusava di sostanze ma non ne abbiamo mai parlato, per non toccare un tasto dolente. Io mi sono limitato ad aprire per lui uno spiraglio, cercando di fargli capire che poteva risollevarsi grazie al lavoro. L’ho conosciuto perché una sera è venuto a prendere un panino e indumenti in via Sant’Arialdo. Meritava di più dalla vita. Allora gli ho offerto un lavoro, nel ristorante di Locate Triulzi. È stato con noi per 6 mesi, si è dimesso da pochi giorni: nel frattempo ha trovato posto in una casa di accoglienza a Rozzano, quindi ha cercato un’occupazione più vicina a quel comune. Io sono contento che sia andato oltre: per lui siamo stati un trampolino. Ora può volare da solo".
Che cosa l’ha spinta ad aiutare questi ragazzi?
"Vedo giovani che hanno l’età dei miei figli, a Rogoredo, al gelo d’inverno, senza nessuno e senza nulla. E soffro. Io penso che ognuno debba fare la sua parte per creare una “società educante“: io faccio semplicemente la mia. Chi vuole uscire dal tunnel della droga deve poter trovare un appiglio".