Marco
Mangiarotti*
Grazie Stella. Carosello, Ugo Tognazzi impiegato pasticcione e Negroni, 1962. Un corto a episodi, funzionava così e la pubblicità alla fine: La Stella di Negroni vuol dire qualità. Carosello ci aiuta, in banco e nero, a ricordare i 90 anni di Negronetto e il passaggio dalla reclame alla pubblicità televisiva (dopo la rivoluzione della radio). E Ugo Tognazzi era credibile, ma non esente da critiche, perché cremonese, ex ragioniere in Negroni e noto buongustaio. Per anagrafe, mi ricordo benissimo sia il Carosello di Tognazzi che il salamino di Cremona, la versione bassaiola dei cacciatorini brianzoli sempre presenti alla tavola dei miei nonni. Il Negronetto era nato nel 1931 durante la Fiera Internazionale di Nizza, quando Paolo Negroni, figlio del fondatore Pietro, per aggirare il divieto imposto ai produttori italiani di affettare salami per gli ospiti, ne inventò uno di soli 14 centimetri del salame cremonese, famoso a Milano come il Varzi d’Oltrepò e dall’impasto diverso dai cacciatorini di famiglia. E Negroni fu con Vismara, poi Citterio, inventore del Salame Milano, e la brianzola Beretta, il simbolo della cultura artigianal industriale del salame, non della mortadella, del prosciutto, della coppa, della lonza, del lardo, del guanciale... Tutti peraltro buonissimi. Noi lombardi siamo da salame, con il Veneto, perché era la cultura della trasformazione povera del maiale, dove si ottimizzava tutto, partendo dalle parti magre, quando c’erano. Quelle più grasse finivano nella salsiccia, la luganega, o i cotechini bergamaschi e bresciani, la mitica boccia cremonese e mantovana. Il salame non aveva lo stacco di coscia del prosciutto crudo ma il suo sano perché, più che da aperitivo da merenda. E la degustazione ritrova quel gusto, la digeribilità di un coerente prodotto industriale. L’Accademia della Stella coinvolge nel progetto dell’anniversario tre istituti milanesi di design, IED, Naba e Politecnico, con i loro studenti, per reinterpretare questo iconico brand.