Nicola Palma
Cronaca

Psicanalista condannata per esercizio abusivo

La nota professionista Maddalena Muzio Treccani non è iscritta ad alcun albo. Il dibattito interno sulle differenze con la psicoterapia

Si può esercitare la professione di psicanalisti senza essere medici o psicologi iscritti ai rispettivi albi? La questione è oggetto da decenni di un vivace dibattito interno e viene declinata in maniera molto diversa dagli esponenti delle varie scuole di pensiero: c’è chi pensa che la psicanalisi non sia equiparabile alla psicoterapia e fa leva su questa distinzione per affermare che non c’è bisogno di essere laureati in Medicina o Psicologia né di aver sostenuto un corso di formazione di 4 anni per esercitare, come invece imposto dall’Ordinamento della professione di psicologo; di contro, c’è chi sostiene che l’analisi non possa essere scissa da una terapia e che i requisiti previsti siano sempre indispensabili per poter lavorare. E poi ci sono i giudici, che, se chiamati in causa, danno la loro interpretazione di fatti e norme, al di là delle posizioni degli esperti del settore, più o meno condivisibili e difficilmente scalfibili dalle sentenze. A far da spartiacque, da questo punto di vista, è il pronunciamento della Cassazione numero 14408 del 2011, che ha sancito che la psicanalisi è un’attività "diretta alla guarigione da vere e proprie malattie (ad esempio l’anoressia), il che la inquadra nella professione medica".

Da allora, altri pronunciamenti non hanno fatto altro che confermare quell’orientamento. E non ha fatto eccezione la Sesta sezione penale, che, confermando le decisioni di primo e secondo grado, ha ritenuto la notissima professionista Maddalena Treccani Degli Alfieri, 73 anni, colpevole di esercizio abusivo della professione di psicoterapeuta, rinviando in Appello solo per la quantificazione della pena (che verrà abbassata rispetto a quella attuale di 4 mesi, calcolata sulla base di una legge più afflittiva entrata in vigore dopo il fatto commesso). Com’è possibile che una psicanalista della levatura di Muzio Treccani (ha acquisito il cognome del marito), con un curriculum ricco di pubblicazioni, attività di ricerca e collaborazioni coi Servizi sociali del Comune, venga accusata a fine carriera di spacciarsi per quello che non è? La vicenda risale a qualche anno fa, quando il Tribunale per i minorenni di Milano emette un decreto con cui dispone che la figlia di una coppia venga "avviata a un “percorso terapeutico“ per poter riprendere i rapporti con il padre". La madre sceglie proprio Treccani, che si mette in contatto con il marito della donna per informarlo dell’intenzione di intraprendere con la piccola "“psicoanalisi freudiana“ con incontri settimanali". Dopo qualche tempo, l’uomo, accorgendosi che la figlia "non traeva alcun miglioramento dall’asserita “terapia psicologica“, compiva indagini, accertando che la sedicente psicologa esercitava abusivamente “psicoterapia“, addirittura interagendo con i componenti del Tribunale per i minorenni".

Dai successivi accertamenti, in effetti, è emerso che Treccani "era titolare di partita Iva come “assistente sociale non residenziale“ e non era iscritta ad alcun albo professionale", e che "risultava invece laureata in Lettere e filosofia ed effettuava “l’analisi freudiana“ attraverso il metodo del colloquio e dell’ascolto". Da qui i processi e le condanne. Nel ricorso in Cassazione, il suo legale ha spiegato che "l’attività di analisi è per definizione attività di osservazione, non di sommistrazione di cure e terapie" e che, quindi, la sua assistita non ha mai "speso il titolo di psicoterapeuta ma di psicoanalista", anche davanti al Tribunale per i minorenni, dal quale è stata sentita in qualità di "psicoanalista e analista" della bimba. Una tesi respinta dalla Suprema Corte: detto che "è pacifico che l’imputata non ha svolto un percorso di studi né è in possesso di specifico titolo abilitante", gli ermellini hanno ribadito che "l’analisi costituisce pur sempre una terapia". Ecco il motivo: "La “psicanalisi“ va intesa come “psicoterapia“, caratterizzata da un percorso, che è anche terapeutico e volto a procurare la guarigione da talune patologie". Conclusione: "Sarebbe stata necessaria quell’abilitazione di cui la ricorrente era comprovatamente sprovvista".