
Renato Maturo, l'avvocato che ha difeso l'imprenditore accusato ingiustamente e sotto processo per 8 anni
Milano, 15giugno 2025 – Otto anni intrappolato in un processo che “neanche sarebbe dovuto partire”. Un’odissea giudiziaria iniziata per un caso di omonimia: da una parte una società milanese nel ramo dell’energia, dall’altro una società con sede legale a Firenze di proprietà di due stranieri residenti a Scandicci. Stesso nome. La prima, pulita. La seconda, coinvolta in un’inchiesta su una frode carosello della Procura di Trieste. Ma a finire nei guai è stato l’imprenditore di Milano.
“Io non c’entro niente, non so chi siano questi soggetti”
“Nessuno si è preoccupato di verificare che i bonifici contestati partivano dalla società toscana”, sottolinea l’avvocato Renato Maturo, che dopo una lunga battaglia legale è riuscito ad arrivare a un’assoluzione con formula piena per non aver commesso il fatto. Come, del resto, aveva sempre sostenuto l’imprenditore milanese: “Io non c’entro niente, non so chi siano questi soggetti”. Mai aveva avuto contatti con la società di Trieste considerata una “cartiera“ di fatture false: secondo gli investigatori emetteva fatture per operazioni inesistenti a società compiacenti in tutta Italia che, poi, effettuavano i bonifici.
Gli investigatori “distratti”
“Appena ricevuto l’avviso di conclusione indagini mi è bastato verificare il numero del conto corrente da cui erano partiti i pagamenti incriminati, per un importo di 170mila euro, per scoprire che il conto corrente utilizzato non era quello della società amministrata dal mio assistito”. Colpa di una distrazione degli investigatori che “non si sono accorti dell’esistenza di due società con lo stesso identico nome”.
L’errore sulla linea Milano-Firenze
I bonifici, infatti, “erano partiti dal conto in una banca di Scandicci intestato alla società omonima, il cui amministratore non è mai stato indagato”. Nell’estate del 2019 “ho inviato in Procura a Milano una memoria difensiva per descrivere l’errore in cui era incorsa la Guardia di Finanza, chiedendo di verificare la titolarità del conto corrente il cui Iban era negli atti di indagine. Tuttavia – l’amara constatazione del legale – non ho mai ricevuto risposta. Anche le sette richieste di aggiornamenti inviate con posta elettronica certificata sono rimaste senza riscontro”.
Impuniti i colpevoli (mai indagati)
Si è dovuti arrivare al processo perché ci si accorgessero dell’errore. E invece “sarebbe bastato un semplice adempimento per scoprire la verità e non sottoporre un imprenditore a otto anni di calvario”. Certo, è arrivata l’assoluzione piena, “ma per una svista nelle indagini e per una negligenza, i veri responsabili del fatto di reato non sono stati indagati – denuncia l’avvocato Maturo –. Anzi, credo che resteranno impuniti, perché a settembre scatterà la prescrizione”.
La beffa e l’istanza al Csm
E se l’epilogo fosse stato diverso? “In caso di condanna l’imprenditore milanese avrebbe rischiato di perdere la casa in quanto per questi reati è prevista la confisca per equivalente delle somme evase – continua il legale –. E non dimentichiamoci che in questi otto anni la società del mio assistito non ha potuto operare sul mercato. Adesso aspettiamo di leggere le motivazioni della sentenza per valutare eventuali esposti al Consiglio superiore della magistratura”.