REDAZIONE MILANO

Prima diffusa alla Casa dell'accoglienza Enzo Jannacci: l'opera unisce gli ospiti

Gli ospiti della Casa Jannacci assistono alla Prima diffusa della Scala, trovando conforto e speranza nell'opera.

Alcuni spettatori nel salone della struttura pubblica insieme a un organizzatore

Alcuni spettatori nel salone della struttura pubblica insieme a un organizzatore

di Marianna Vazzana MILANO

"Una cosa così ti aiuta ad andare avanti, a credere in qualcosa. Sto passando un brutto momento e stare seduto qui a sentire cantare mi regala un po’ di tregua. Una pace che non mi aspettavo". Aldo ha 68 anni e da due mesi vive a “Casa dell’accoglienza Enzo Jannacci”, il dormitorio comunale di viale Ortles. È tra gli spettatori, insieme a una ventina di altri ospiti, della Prima diffusa, la proiezione gratuita della Prima della Scala in oltre 30 luoghi della città e dell’hinterland. Il teatro, nel salone con il grande schermo, è disegnato sulle pareti. Nessuna cravatta. Nessuna borsa con lustrini. "Abbiamo le nostre sciarpe, i nostri cappelli di tutti i giorni". Una signora regge un sacchetto di plastica con alcuni suoi indumenti, che si porta sempre dietro. Così diversa dalle dame che si vedono scorrere sullo schermo prima che l’opera inizi. "Ma ho indossato due soprabiti: uno color cammello e l’altro rosso". Lo sottolinea, come a voler dire che non si sente da meno. Si presenta: "Mi chiamo Rita e ho 62 anni. Sono arrivata in Italia dalla Nigeria. Ho lavorato un po’ di tempo in Sicilia. Poi sono venuta a Milano ma ora non ho più i documenti in regola. Questo è il mio più grande problema". Va da sé che il suo desiderio per il 2025 sia "avere i documenti", il primo passo per risollevarsi. Altri sognano una casa. "Sono stato sgomberato tre volte", fa sapere Giuseppe S., di 70 anni. Parla dialetto milanese: "Sono di San Colombano al Lambro".

Tutti dicono di essere entrati senza conoscere nulla de “La forza del destino”. Senza essersi documentati. "Sarà una sorpresa. E non è meglio così? Come la vita. Non sappiamo dove saremo domani. Al mattino usciamo di qui e poi chissà...", riflette uno dei presenti. Alla fine delle scene tutti applaudono, seguendo gli spettatori della Scala a distanza. "A me quest’opera piace – commenta Giuseppe S. nell’intervallo –. La prossima volta vorrei il “Nabucco”". Un altro ospite prende la parola: "Io preferisco essere qui, in viale Ortles, anziché alla Scala. Perché non mi preoccupo dell’estetica ma della sostanza: chi è qui, è interessato davvero all’opera e non alla “vetrina“. Noi possiamo guardarla con la calma attorno, senza riflettori". Di sé non vuol dire nemmeno l’età. Rivela solo di essere stato un portiere d’albergo in passato e di vivere a Casa Jannacci da un anno. "Io non ero appassionato di lirica – aggiunge –. L’ho scoperta per caso, a un’altra Prima diffusa, all’Opera Cardinal Ferrari. Da 12 anni non mi perdo la Prima". E guardando il volto del direttore d’orchestra Riccardo Chailly commenta: "È ringiovanito".

Aldo, invece, di opere e balletti ne ha visti anche 50 anni fa. "Mi ricordo il “Lago dei cigni“ con Carla Fracci e Rudolf Nureyev, negli anni Settanta. Questo mondo mi ha sempre affascinato. Per tanti anni, nella vita, mi sono occupato di musica (non di lirica) e poi di moda. Ora vivo con la pensione sociale. Mi sono ritrovato per strada, tradito. Sto cercando di far valere i miei diritti: non sarà semplice. Ma è la mia battaglia. Ecco, ognuno di noi ha i suoi problemi. I nostri, forse, sono più evidenti. Ma anche quei signori che vanno alla Scala ne hanno, solo che sono meno visibili. Il teatro unisce tutti". Parla all’uomo. A tutti gli esseri umani. "Io mi sono innamorato del teatro – conclude Hermy, di 63 anni, tunisino –. Sono in Italia da 40 anni, ho lavorato per tante aziende e cooperative occupandomi soprattutto di facchinaggio. A un certo punto non mi sono più potuto permettere la casa e poi ho perso anche il lavoro. Ma non mi arrendo, ho ancora speranza". La tiene accesa nel cuore anche recitando: "Ho partecipato allo spettacolo “Padri: eroi, uomini, senzatetto“, organizzato dal Centro diurno della Casa Jannacci. Voglio continuare perché mi fa sentire vivo".