Giorgio Gori, candidato del Pd al Parlamento europeo, non trova che per un elettore sia dura individuare la posizione dei Dem su temi cruciali come la guerra in Ucraina e l’uso di armi Nato oltre i confini ucraini, considerate le diverse posizioni presenti nel partito?
"La posizione del Pd sul conflitto in Ucraina è molto chiara ed è stata concretamente espressa sia nel Parlamento italiano sia nel Parlamento europeo: noi riteniamo si debba offrire all’Ucraina tutto il sostegno umanitario, economico e militare necessario per far fronte all’invasione russa".
Altri eurocandidati del Pd non la pensano così. Mi riferisco a Marco Tarquinio o Cecilia Strada, ad esempio.
"Ripeto: la posizione del Pd è chiara. Poi ci sono candidati che corrono nel Pd da indipendenti e hanno opinioni diverse: entro certi limiti può essere anche positivo, basta non eccedere nelle provocazioni".
È favorevole all’uso di armi Nato anche in terra russa?
"Io penso che sia giusto usare armi Nato per colpire le postazioni dalle quali la Russia fa piovere i missili che uccidono i civili ucraini. Sono quindi d’accordo con la proposta di Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato. E non è un caso che i Paesi europei si stiano allineando. Il Governo italiano invece continua a fare il pesce in barile. Nella mia visione la difesa comune è necessaria per rafforzare il pilastro europeo della Nato: oggi siamo dipendenti dagli Usa e siamo molto disorganizzati, cosa che ci rende vulnerabili".
Lei è per una maggiore delega di poteri all’Europa, il centrodestra ha rispolverato slogan decisamente sovranisti.
"I partiti della destra non indossano più le magliette “No Euro“ ma puntano a smontare l’Unione Europea dall’interno. La Lega di Matteo Salvini dice “meno Europa“. Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia fanno parte di un gruppo, quello dei Conservatori, che ha come slogan “fare meno“. Noi siamo su posizioni opposte: se l’Europa in 7 mesi non è stata capace di dire nulla sul Medio Oriente, se non è in grado di garantire investimenti confrontabili con quelli di Usa e Cina per l’innovazione tecnologica, la transizione ecologica e la competittività industriale, è perché il pallino è ancora saldamente nelle mani degli Stati nazionali e il bilancio comune insufficiente. In pandemia l’Unione Europea ha dato un esempio di quello che sa fare: si è mossa compatta e ha saputo garantire i fondi per la cassa integrazione dei lavoratori europei, il recovery plan, i vaccini. C’è chi vorrebbe restasse un’eccezione senza seguito, ma così l’Europa rischia l’irrilevanza".
Unione d’intenti per fare cosa, oggi?
"Per occuparsi delle conseguenze della crisi demografica. L’invecchiamento della popolazione e la bassa natalità, fenomeni comuni ai Paesi europei, stanno mettendo a rischio la sostenibilità dei sistemi sanitari e pensionistici. Aumenta la popolazione anziana e con essa i costi sanitari e previdenziali, mentre la base fiscale va assottigliandosi. Secondo la Banca d’Italia, nel 2040 nel nostro Paese avremo 5,4 milioni di lavoratori in meno e un calo del Pil di ben 13 punti".
“Un sindaco per l’Europa“: tradotto?
"Un sindaco si allena ad essere pragmatico, a perseguire con pazienza i propri obiettivi, a verificare nel concreto l’impatto delle proprie decisioni: qualità e attitudini che sono convinto possano tornare utili anche al Parlamento Europeo".